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Filosofia Letteratura

I Saggi (Essais) di Michel de Montaigne

Recensione, analisi e commento dei Saggi di Montaigne nell’edizione critica di André Tournon

Introduzione

I Saggi di Montaigne non sono dei trattati brevi, ma delle autoanalisi che un uomo conduce su se stesso. La parola “saggio” viene infatti intesa nel senso di prova e esperimento. Proprio perché non si prefiggono uno scopo didattico, i Saggi costituiscono delle vere perle di saggezza. Già nell’introduzione al lettore che reca la data del primo marzo 1580, Montaigne chiarisce di essere egli stesso la materia del suo libro. I Saggi tuttavia sono lungi da essere un’autobiografia o un diario perché “Non sono le mie azioni che descrivo, è me stesso, è la mia essenza.”[1]

Non vogliono nemmeno fungere da guida morale impartita da qualcuno che sa più del suo lettore: “Se la mia anima potesse stabilizzarsi, non mi saggerei, mi risolverei. Essa è sempre in tirocinio e in prova.”[2] Nonostante l’apparente modestia, Montaigne dimostrò più volte di anticipare la scienza con le sue idee innovative, come ad esempio la concezione degli animali espressa nell‘Apologia di Raymond Sebond.

La letterata illuminista Sophie Volland, amica e amante di Denis Diderot (1713 – 1784) gli lasciò simbolicamente in eredità un esemplare dei Saggi quando morì nel 1784 (Diderot le sopravvisse soltanto di sei mesi e morì nello stesso anno). Il futuro romanziere Èmile Zola (1840-1902), importante esponente del Naturalismo francese, nel 1861 non visitò soltanto il Salon con il suo amico e compagno di scuola a Aix-en-Provence, Paul Cézanne (1839 – 1906) ma lesse anche i Saggi di Montaigne. Il romanzo pedagogico Emilio o dell’educazione di Jean Jacques Rousseau (1712 – 1778) fu profondamente influenzato dai capitoli XXV e XXVI del primo libro dei Saggi: Della pedagogia e Dell’educazione dei fanciulli.

La traduzione e l’edizione critica

Copertina della prima edizione degli Essais di Montaigne
Copertina della prima edizione
degli Essais di Montaigne

La prima edizione francese dei Saggi risale al 1580. La traduzione che abbiamo letto è quella di Fausta Garavini apparsa nel 1966 da Adelphi interamente riveduta e corretta per l’edizione bilingue della Bompiani del 2012. L’edizione tascabile (monolingua) a cura di Fausta Garavini e André Tournon riprende il testo dell’edizione del 2012 e costituisce il primo volume della collana Classici della letteratura, diretta da Nuccio Ordine, di cui abbiamo analizzato anche un altro classico francese, il Gargantua e Pantagruele di François Rabelais. André Tournon curò un’importante edizione critica degli Essais nel 1998 sulla quale si basa il testo dell’edizione Bompiani. Nel 1966 la Garavini non ebbe a disposizione un’edizione critica vera e propria e il fatto di tornare su un testo che aveva tradotto da giovane dopo una vita di studi nell’ambito della letteratura francese le permise di apportare anche alcune migliorie. L’obiettivo della fruttuosa collaborazione tra Tournon e Garavini era di “restituire a Montaigne quel che è di Montaigne.”[3]

L’essenza dei Saggi

Queste sono le mie fantasie, con le quali non cerco affatto
di far conoscere le cose, ma me stesso.[4]

I tre libri di cui si compongono i Saggi sono suddivisi in tanti piccoli capitoli (essais, saggi) recanti ciascuno un titolo descrittivo o riassuntivo. Sono indipendenti tra di loro e non presentano un ordine cronologico per cui possono essere letti anche in ordine sparso secondo gli interessi individuali del momento. Alcuni capitoli sono molto corti, altri lunghi decine o centinaia di pagine. L’autore affronta una molteplicità di argomenti e alcuni anche a distanza di 440 anni non hanno perso nulla della loro attualità. Montaigne cita molti testi della letteratura ante 1570, soprattutto classici greci e latini e conosce molto bene anche la storia avendo ad esempio letto l’importante Storia d’Italia di Francesco Guicciardini del 1561. L’impostazione di fondo ha qualcosa in comune con quella di Agostino d’Ippona, autore delle celebri Confessioni, che al pari di Montaigne non era un pensatore sistematico, ma creativo e in continua evoluzione.

Le famose iscrizioni che Montaigne fece incidere sulle travi del tetto della sua biblioteca.
Le famose iscrizioni che Montaigne
fece incidere sulle travi del tetto della
sua biblioteca.

L’impresa che persegue Montaigne ha pochi precedenti: partire dalla sua propria vita per esplorare la humaine condition. E’ convinto che questo approccio sia giustificato perché “[…] chaque homme porte la forme entière de l’humaine condition.”[5] Conosce a fondo la materia del suo libro e metodologicamente pone l’autoconsapevolezza come principio euristico per l’esplorazione morale dell’umanità.

Di Montaigne viene spesso criticato lo stile troppo spontaneo, colloquiale e noncurante, critiche dovute forse anche alle sue stesse ammissioni di falsa modestia: “Ho per natura uno stile medio e familiare”[6] “Mi sembra […] che l’espressione delle mie parole faccia torto al mio pensiero.”[7] In verità le correzioni dei Saggi testimoniano che limava ogni parola in modo quasi maniacale e che curava con molta abilità e impegno la stesura del suo libro.

Da un punto di vista linguistico sono interessanti le sue affermazioni sulla lingua francese, come per esempio “Nella nostra lingua trovo abbastanza stoffa, ma una certa mancanza di forma.”[8] In confronto al latino egli percepisce il francese meno maneggevole e vigoroso. Va ricordato che Montaigne, da figlio dei suoi tempi, ebbe un’educazione di stampo umanista e fino all’età di circa 13 anni con la famiglia e il precettore parlava soltanto latino che può quindi essere considerato la sua prima lingua. Non stupisce perciò il suo atteggiamento a volte critico nei confronti del francese e l’affermazione “[…] in suo difetto si presenta in soccorso il latino.”[9]

Pare che i Saggi siano nati originariamente come raccolta di citazioni ricopiate dai libri che l’autore aveva letto.[10] Alla fine presero il sopravvento i commenti rispetto alle citazioni ed egli iniziò a commentare non soltanto quello che aveva trovato nei libri ma anche ciò che aveva vissuto. I Saggi sono infatti ricchissimi di citazioni e l’autore spiega nel seguente modo il loro scopo: “[…] faccio dire agli altri quello che non posso dire altrettanto bene, sia per insufficienza di linguaggio, sia per insufficienza di senno.”[11]

Michel Eyquem de Montaigne (1533 – 1592)

Michel Eyquem de Montaigne
Michel Eyquem de Montaigne

L’autore dei Saggi nasce il 28 febbraio del 1533 nel castello di Montaigne al confine fra il Périgord e la Guyenne. Dopo gli studi in diritto lavora come giureconsulto. Nel 1571 all’età di 38 anni si ritira nel suo castello dove passerà gli anni fino alla sua morte, sopravvenuta il 13 settembre del 1592, leggendo, meditando e scrivendo nella sua ricca biblioteca che comprendeva un migliaio di volumi. Nel 1581 fu eletto sindaco di Bordeaux, una mansione che svolse apparentemente con abilità, visto che nel 1583 fu riconfermato. Intraprese anche molti viaggi in Europa e l’Italia fu una sua metà prediletta. Grande estimatore di Torquato Tasso, scrittore ammirato anche da Leopardi che gli dedicò un dialogo nelle Operette Morali, Montaigne nel 1580 si recò a Ferrara per visitare lo sfortunato autore della Gerusalemme liberata. Vedendolo rinchiuso nell’Ospedale Sant’Anna rimase commosso e amareggiato di come un grande letterato si possa ridurre in quel modo. Come già detto, i Saggi risalgono agli anni 1580/1582 anche se nel 1588 vennero arricchiti di correzioni e aggiunte dello stesso Montaigne. Il castello de Montaigne è visitabile ancora oggi e la torre d’angolo dove si trovava la biblioteca è ancora intatta. Si possono perciò ancora ammirare le travi del tetto con le sentenze che vi fece iscrivere il proprietario. Montaigne è rimasto nella memoria dei posteri anche a causa della straordinaria amicizia che lo legava a Étienne de La Boétie. Quest‘ultimo morì giovanissimo di peste e sopravvisse culturalmente grazie al suo Discorso sulla servitù volontaria, un inno alla libertà che secondo lui va difesa ovunque. Nei Saggi Montaigne pubblica alcuni suoi sonetti ma rimane celebre soprattutto la frase sulla loro amicizia contenuta nel capitolo XXVIII del primo libro dei Saggi: Se mi si chiede di dire perché l’amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: perché era lui; perché’ ero io” (“Si on me presse de dire pour quoi je l’aimais, je sens que cela ne se peut exprimer qu’en répondant: parce que c’était lui, parce que c’était moi.”)

Della paura

La paura è la cosa di cui ho più paura.[12]

Per dare un piccolo assaggio dell’opera vengono qui riportati alcuni interessanti estratti relativi al tema della paura. Nel capitolo XVIII del primo libro Montaigne riflette sulla paura che considera uno dei tormenti maggiori della nostra esistenza. Il passaggio citato è significativo perché pur scrivendo l’autore dei tormenti della sua anima risalenti a parecchi secoli fa, ognuno di noi potrà ritrovare qualcosa di se stesso. Egli afferma che chi non ha niente da perdere, come i poveri e i servi, spesso è tormentato meno dalle preoccupazioni e dalle paure, forse perché difficilmente può peggiorare la propria condizione. Per Montaigne l’assillo della paura è persino peggio della morte:

Quelli che si sentono incalzati dal timore di perdere i propri beni, di essere esiliati, di essere assoggettati, vivono in continua angoscia e perdono la voglia di bere, di mangiare e di riposare; mentre i poveri, i messi al bando, i servi, vivono spesso allegramente come gli altri. E tutti quelli che, per non saper sopportare l’assillo della paura, si sono impiccati, annegati e precipitati giù ci hanno ben insegnato che è ancora più fastidiosa e insopportabile della morte.[13]

Qualche capitolo più avanti (I nostri sentimenti vanno oltre noi stessi, libro I, cap III) Montaigne riflette inoltre sull’importanza del vivere nel hic et nunc senza farsi condizionare da ciò che avverrà nel futuro, menzionando sempre i timori che possono offuscare la nostra esistenza. Preoccuparsi per l’avvenire non solo è inutile ma anche dannoso perché ci fa vivere peggio nel presente. La sua riflessione si conclude con una famosa citazione di Seneca tratta dalle Epistolae. “Il timore, il desiderio, la speranza ci lanciano verso l’avvenire, e ci tolgono il sentimento e la considerazione di ciò che è, per intrattenerci su ciò che sarà, quando appunto noi non saremo più. Calamitosus est animus futuri anxius”.[14]

Quest’ultima massima forse la dovremmo incidere sulle travi del nostro tetto come fece l’autore dei Saggi con altre citazioni.

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[1] Michel de Montaigne: Saggi. A cura di Fausta Garavini e André Tournon. Milano: Bompiani, 2014, p. 341 (libro II, cap. VI)

[2] Michel de Montaigne, Saggi, 749 (libro III, cap II)

[3] Cfr. Ibid, Nota alla Traduzione, XL

[4] Ibid, 367 (libro II, cap X)

[5] „Ogni uomo porta la forma intera dell’umana condizione.“ (Ibid, 749 (libro III, cap II)

[6] Ibid, 231 (libro I, cap XL)

[7] Ibid, 231

[8] Ibid, 815 (libro III, cap V)

[9] Ibid, 815 (libro III, cap V)

[10] Erich Auerbach: Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur. Bern: Francke Verlag, 2001 (L’humaine condition), 280.: „Sein Buch war ursprünglich eine Sammlung von Lesefrüchten mit begleitenden Bemerkungen. Der Rahmen wurde bald gesprengt; die begleitenden Bemerkungen überwogen, und als Stoff oder Anlaß dient nicht nur das Gelesene, sondern auch das Gelebte;“

[11] Michel de Montaigne, Saggi, 362 (libro II, cap X)

[12] Ibid, 69 (libro I, cap XVIII)

[13] Ibid, 69ff

[14] Ibid, 13 (libro I, cap III) La citazione è di Seneca (Epistolae) „Sventurato è l’animo preoccupato del futuro“

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