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Don Chisciotte della Mancia di Miguel Cervantes

Riassunto, analisi e commento del Don Chisciotte di Cervantes, un capolavoro della letteratura spagnola


Introduzione

El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha non è solo un classico della letteratura spagnola ma una parodia davvero comica e buffa che a 400 anni dalla sua pubblicazione riesce ancora a far divertire i suoi lettori. Trae ispirazione dai poemi cavallereschi alla Ariosto e Boiardo e ai romanzi picareschi (Arcadia, Diana, Lazarillo de Tormes) facendone una parodia. Nell’opera si trovano diversi riferimenti intertestuali ad altre opere soprattutto al Amadís de Gaula di Garci Rodríguez de Montalvo del 1508, un romanzo cavalleresco molto popolare all’epoca.

Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento Illustrazione di Gustave Doré
Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento
Illustrazione di Gustave Doré

Miguel de Cervantes (1547-1616) era già abbastanza avanti con gli anni quando pubblicò la prima parte della sua opera nel 1605 ma riuscì a vedere stampata anche la seconda che risale al 1615. Insieme al Gargantua e Pantagruele di François Rabelais il Don Chisciotte è probabilmente il primo romanzo della letteratura e apparse in un’epoca davvero florida per le arti, nel Siglo de Oro. Erich Auerbach scrisse un importante saggio sull’opera e per tutti quelli che non hanno avuto abbastanza delle 1200 pagine di Cervantes esiste un romanzo di Andrès Trapiello del 2005 che si intitola Alla morte di Don Chisciotte e che percorre la vita dei personaggi dopo la morte del simpatico protagonista.

Il primo libro

Per rendere più autentica la sua opera, Cervantes usa l’espediente diffuso del manoscritto ritrovato di un certo Cide Hamete Benengeli, uno storico moro (musulmano). Alonso Quijano, un benestante hidalgo (nobiluomo della campagna) della Mancia possiede una ricca biblioteca di romanzi cavallereschi. Ispirato dai suoi eroi un bel giorno parte con il suo cavallo malconcio che ribattezza Ronzinante e il suo scudiero fedele Sancio Panza che cavalca un asino a cui è molto affezionato per condurre la vita di cavaliere errante di nome Don Chisciotte della Mancia: “[…] gli parve conveniente e necessario farsi cavaliere errante, e andarsene per il mondo con le sue armi a cavallo, a cercare avventure e a cimentarsi in tutto ciò che aveva letto che i cavalieri erranti si cimentavano, disfacendo ogni specie di torti […].[1]

Visto che Don Chisciotte non distingue più la realtà dalla finzione non c’è quasi giorno in cui i due personaggi non vengano coinvolti in divertentissime avventure. I mulini a vento diventano giganti da sconfiggere, un gregge di pecore un vasto esercito e una bacinella da barbiere l’elmo di Mambrino: “tutte le cose che vedeva, con grandissima facilità le adattava alla sua stravagante cavalleria e ai suoi aberranti pensieri”[2] Lo scudiero tenterà più volte di far capire al suo padrone la vera natura degli avvenimenti, ma lo sforzo si rivelerà inutile. Don Chisciotte viene in aiuto ai deboli e spesso raddrizza torti che soltanto egli stesso percepisce, al contrario della presunta vittima.

Come tutti i cavalieri erranti, anche Don Chisciotte è amorosamente legato ad una dama, la Dulcinea del Toboso. In realtà si tratta di una contadina piuttosto sempliciotta di nome Aldonza Lorenzo di un villaggio vicino a quello del protagonista. Alla fine della prima uscita Don Chisciotte viene ricondotto a casa da alcuni compaesani in pensiero per la sua follia in modo molto indegno, imprigionato in una gabbia. Si riprende a casa dove lo aspettano la nipote e la governante che odiano entrambe i romanzi cavallereschi e li bruciano insieme al curato del paese per salvare il padrone di casa. Nella scena del rogo dei libri troviamo diversi riferimenti intertestuali ad altre opere del tempo.

Il secondo libro

Un bel giorno Don Chisciotte e il suo fidato scudiero fanno la loro seconda uscita che corrisponde al secondo libro. E’ curioso come nella seconda parte si trovino diversi riferimenti sia inter- che metatestuali alla prima e anche ad una falsa seconda parte, apparsa nel 1614. Tra i due volumi venne infatti pubblicata, sotto lo pseudonimo di Alonso Fernández de Avellaneda,  un’opera sulla seconda uscita di Don Chisciotte. Cervantes non prese bene quella continuazione e decise allora di scrivere un’autentica seconda parte che fu pubblicata nel 1615. Non si è mai scoperto chi si nascondesse dietro lo pseudonimo, forse lo stesso Cervantes, forse Lope de Vega o Francisco de Quevedo. Quel libro viene citato più volte nella seconda parte del Chisciotte e verso la fine un cavaliere, dopo averla letta, “la considerava una stupidaggine da cima a fondo”[3].

All’inizio del secondo libro ha luogo il famoso incontro tra Don Chisciotte e la dama del suo cuore Dulcinea del Toboso. “Fra i tanti episodi in cui è rappresentata lo scontro fra l’illusione di don Chisciotte e una realtà quotidiana, questo ha un suo particolare valore.”[4] In questa scena Don Chisciotte pare rinsavito perché non vede altro che la realtà mentre il suo scudiero esalta la bellezza della dama che in realtà non è che una semplice contadina su un asino. Fino a quel momento era sempre stato Sancio la figura realistica che scopriva le distorsioni della realtà del suo signore, ma per non deludere il suo padrone finge in quel frangente di vedere in Dulcinea effettivamente una gran signora. Erich Auerbach analizza questo famoso capitolo del Don Chisciotte in Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale:

Don Chisciotte e Sancho Panza 
Illustrazione di Gustave Dorè
Don Chisciotte e Sancho Panza
Illustrazione di Gustave Dorè

La scena poi è singolare perché per la prima volta le parti appaiono scambiate. Fino a questo punto era stato Don Chisciotte a vedere e a trasmutare spontaneamente le manifestazioni della vita quotidiana in scene di romanzo cavalleresco, mentre Scancio il più delle volte dubitava […] Ora invece è Sancio che improvvisa una scena di romanzo e la capacità trasmutatrice di Don Chisciotte viene meno dinanzi alla triviale visione delle contadine[5].

Sancio fa di tutto per non scontentare il suo padrone e perciò lo imbroglia con la falsa Dulcinea. Dopo questo incontro con la dama del cuore, per Don Chisciotte la Dulcinea diventa incantata perché tramutata in una contadinotta con l’alito puzzolente. Per quanto alle volte si stanca della sua vita di vagabondaggio, Sancio vede in Don Chisciotte un grande maestro e spesso ammira la sua saggezza che nasce proprio dalla pazzia. “Non trae egli forse la saggezza dalla pazzia?”[6] “La saggezza di Don Chisciotte non è quella d’un pazzo; è l’intelligenza, la nobiltà, la costumatezza e la dignità d’un uomo prudente ed equilibrato.”[7]

Il velo della pazzia che Don Chisciotte stende sulla realtà la rende migliore. “La pazzia di Don Chisciotte dà luogo a inesauribili travestimenti e trucchi […] Questi tramutamenti fanno della realtà un continuo spettacolo teatrale senza che pertanto cessi d’essere realtà. […] A tutto questo dà l’avvio la pazzia di don Chisciotte che del mondo reale e quotidiano fa uno spettacolo allegro.”[8] Salvo quando è affamato, a Sancio la sua nuova vita piace perché evita di dover faticare nei campi e si diverte a gironzolare con il suo padrone della cui pazzia alla fine si invaghisce.

Con il barbiere e il curato, un baccelliere del paese di Don Chisciotte di nome Sansone Carrasco si traveste da Cavaliere degli Specchi e sfida Don Chisciotte. Questo primo tentativo di riportare Don Chisciotte a casa fallisce perché Sansone viene sconfitto. Don Chisciotte affronta altre avventure e muta il suo nome da Cavaliere della Triste Figura che aveva guadagnato nell’attacco ad un corteo funebre in quello di Cavaliere dei Leoni. Quest’ultimo deriva da un episodio in cui fa aprire una gabbia di leoni che però non si avventurano al di fuori di essa: in ogni caso, lodato il coraggio di Don Chisciotte, esso gli frutta il nuovo nome.

Il prode cavaliere errante scende nella Grotta di Montesinos, assiste ad un fastoso matrimonio (per la gioia di Sancio mangione) e si trattiene per un tempo abbastanza lungo presso due duchi. Quei due si divertono ad inscenare burle come il cavallo alato di Clavilegno (che parte come una macchina, quando si gira una chiave) e Sancio ottiene finalmente il governo di un’isola, l’isola Barattaria. Dall’inizio aveva sempre sperato in un tornaconto economico e l’isola gli appare come un’enorme successo. Sancio non è avido, ma ha una moglie che è molto attaccata ai soldi. La vita da governatore però non fa per Sancio come confida anche al suo asino: “da quando vi lasciai, per salire sulle torri dell’ambizione e della superbia, mi sono insediate nell’anima mille miserie, mille affanni e quattromila preoccupazioni.”[9]

Di nuovo riuniti Sancio e Don Chisciotte cambiano rotta e non vanno a Saragozza come avevano in mente ma a Barcellona. Con questo gesto Don Chisciotte vuole dimostrare quanto è falso il libro sulla sua seconda uscita di Avellaneda. Arriva a Barcellona ma viene sfidato dal cavaliere della Bianca Luna dietro al quale si nasconde sempre Sansone Carrasco. Come conseguenza per la sconfitta è costretto a rinunciare alla vita da cavaliere errante per un anno. Insieme a Sancio torna a casa molto rassegnato e triste ma elabora dei progetti per farsi pastore insieme a lui e ad altri compaesani (pastore Chisciottigi e pastore Panzino). Non tutti sono però contenti che Sansone Carrasco abbia posto fine alla cavalleria errante di Don Chisciotte:

Dio vi perdoni del torto che avete fatto a tutto il mondo nel voler far diventare savio il pazzo più simpatico che ci sia in esso. Non vedete, signore, che il vantaggio che può produrre il rinsavimento di Don Chisciotte non potrà mai arrivare al piacere che dà con tutte le sue follie? […] e se non fosse cosa contraria alla carità, io direi che don Chisciotte non dovrebbe mai guarire, perché guarito lui, non solamente perdiamo le sue buffe stranezza, ma anche quelle del suo scudiero, Sancio Panza, una sola delle quelli è sufficienti a far diventare allegra la malinconia in persona.[10]

La biblioteca di don Chisciotte 
Disegno di Francisco de Goya
La biblioteca di don Chisciotte
Disegno di Francisco de Goya

Il ritorno a casa fa male alla salute di Don Chisciotte perché si rende conto di aver condotto una vita ispirata ai romanzi cavallereschi che, rinsavendo, finisce per abborrire. Torna a essere Alonso Quijano ma non è più invaghito nelle storie dell’errante cavalleria. “Io sono ormai in possesso del mio giudizio, libero e chiaro, senza le caliginose ombre che su di esso avevano gettato le mie continue, squallide letture dei detestabili libri cavallereschi. Riconosco ormai la loro assurdità e le loro bugie […]”[11]. Mentre il suo ambiente è contento di come sia nuovamente entrato in possesso del suo giudizio, egli si sente sempre peggio e alla fine muore di malinconia.

La figura di Don Chisciotte ha offerto a Cervantes la possibilità di mostrare il mondo sotto l’aspetto ludico, senza giudicare ed essendo capace di variare più volte prospettiva. La pazzia di Don Chisciotte ha reso il mondo migliore ma ha fatto soprattutto ridere i suoi lettori di tutti i tempi, dal Siglo de Oro fino ad oggi.

La traduzione e i disegni

La traduzione italiana più bella è quella che Vittorio Bodini fece nel 1956 per la prestigiosa collana I Millenni dell’Einaudi, tra cui figurano opere importanti della letteratura mondiale come il Bravo soldato Švejk di Hašek. Il volume contiene anche il famoso saggio di Erich Auerbach “Die verzauberte Dulcinea” in traduzione italiana (Dulcinea incantata) e i bellissimi disegni di Gustave Doré (1823 – 1883), eseguiti dall’incisore Héliodore-Joseph Pisan (1822 – 1890). Ho scoperto chi fosse Pisan per caso perché mi incuriosiva indagare sul suo nome che si trova nell’angolo destro di ogni disegno (Dorè firmò i disegni nell’angolo sinistro). Pisan fu appunto un incisore che lavorò soprattutto per Dorè. Oltre ad illustrare il Don Chisciotte Dorè tradusse in disegni anche altre importanti opere letterarie come la Divina Commedia, le Fiabe di Jean de la Fontaine, il Gargantua e Pantagruele di Rabelais e l’Orlando Furioso di Ariosto.

Vittorio Bodini (1914 – 1970) è un altro esempio importante per un poeta-traduttore di cui abbiamo già parlato nel post su I ricordi del sottosuolo tradotti da Tommaso Landolfi. E’ considerato uno dei traduttori più importanti della letteratura spagnola. Oltre al Don Chisciotte ha tradotto altri poeti del Siglo de Oro spagnolo come Francisco de Quevedo e Calderón de la Barca. Sempre presso l’Einaudi ha pubblicato una traduzione del Lazarillo de Tormes, ma si è dedicato anche ad autori spagnoli moderni come Federico García Lorca e anche ad autori latino americani di fama mondiali come il poeta cileno Pablo Neruda.

Nel Don Chisciotte troviamo anche un commento sull’arte delle traduzioni che vengono confrontate ad un  arazzo visto dal rovescio:

Ma con tutto ciò, mi pare che il tradurre da una lingua a un’altra, a meno che non sia dalle regine delle lingue, e cioè la greca e la latina, sia come uno che guarda gli arazzi fiamminghi dal rovescio; benché vi si vedano le figure, son piene di fili che le ombrano, e non si vedono con quella superficie così eguale del diritto; e tradurre dalle lingue facili, non presuppone né ingegno né ricchezza di linguaggio, come non lo si presuppone per chi copi da un foglio a un altro. […] Da queste considerazioni vanno esclusi due famosi traduttori: il dottor Cristóbal de Figueroa, col suo Pastor Fido, e l’altro, Juano de Jáuregui, col suo Aminta, che in tali opere fanno brillantemente venire il dubbio su quale sia la traduzione e quale l’originale.[12]

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[1] Miguel de Cervantes: Don Chisciotte della Mancia. Torino: Einaudi 1994, 31

[2] Cervantes, Don Chisciotte, 200

[3] Ibid, 1069

[4] Erich Auerbach: Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale. Torino: Einaudi 1956, 319

[5] Auerbach, Mimesis, 320

[6] Ibid, 326

[7] Ibid, 327

[8] Ibid, 328

[9] Cervantes, Don Chisciotte, 1019

[10] Ibid, 1122

[11] Ibid, 1179f

[12] Ibid, 1102

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