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Gargantua e Pantagruele di François Rabelais

Recensione e analisi di Gargantua e Pantagruele, un classico del Rinascimento francese

Sull’autore François Rabelais

François Rabelais nasce il 4 febbraio del 1493 (o del 1494) vicino a Chinon, nella Valle della Loira. Rappresenta il classico esempio di un uomo universale del Cinquecento che si dedica a varie discipline: letteratura, umanesimo, teologia, legge e medicina. Figlio di un avvocato, inizialmente segue le orme del padre e fino al 1510 compie studi di legge. Nel 1520 prende gli ordini ed entra in un convento francescano dove si dedica agli studi e alle letture dei classici greci e latini, eseguendo anche delle traduzioni.

Autore del Gargantua e Pantagruele
François Rabelais (1493 – 1553)

La sua passione desta il sospetto dei suoi superiori, i quali si spingono persino alla confisca dei suoi libri. Nel 1525 passa ad un ordine più dotto, quello dei Benedettini e comincia a studiare medicina a Montpellier. In quegli anni è in contatto epistolare con Erasmo da Rotterdam e dopo la laurea inizia ad esercitare come medico.

Nel 1534 intraprende un viaggio a Roma come medico personale di Jean du Bellay (1492 – 1560), inviato a sua volta in missione da Francesco I. Quello romano non sarà il suo unico soggiorno italiano e considerata la sua epoca Rabelais viaggiava davvero molto: tra il 1540 e il 1542 si trova in Piemonte con il governatore della regione Seigneur de Langey Guillaume du Bellay (1491 – 1545), fratello del futuro cardinale e arcivescovo Jean du Bellay. I fratelli du Bellay erano cugini del padre del famoso poeta della Pléiade Joachim du Bellay (1522 – 1560).

Mentre Rabelais soggiorna ancora in Italia, la Facoltà di Teologia condanna i primi due volumi Pantgruele (1532) e Gargantua (1534). Tutti i cinque romanzi finiranno successivamente sull’Index Librorum Prohibitorum, l’elenco di pubblicazioni proibite dalla Chiesa cattolica, creato da papa Paolo IV nel 1559 e soppresso soltanto nel 1966. Nel 1545 esce il Tiers Livre della serie e tra il 1547 e il 1549 Rabelais intraprende il suo terzo viaggio in Italia, a Roma, accompagnando nuovamente il cardinale du Bellay. Nel 1548 esce la prima parte del Quart Livre a Lione e nel 1552 il libro completo. Rabelais muore il 9 aprile del 1553 a Parigi e il Cinquiesme Livre esce postumo nel 1562.

Storia editoriale del Gargantua e Pantagruele

Gargantua di Gustave Doré
Il gigante Gargantua a tavola, illustrazione di Gustave Doré

Il Gargantua e Pantagruele è una serie di cinque romanzi, di cui il quinto fu pubblicato dopo la morte dell’autore: Gargantua (1534), Pantagruele (1532), Il terzo libro (1545), Il quarto libro (1552), Il quinto libro (1562). La fonte di Rabelais è un libro popolare in cui compaiono i due giganti Gargantua e Pantagruele. Fu influenzato anche da due classici italiani, il Morgante di Luigi Pulci e dalle opere di Teofilo Folengo. Il poeta maccaronico viene anche citato da Rabelais con il suo pseudonimo Merlin Coccai. La struttura dei primi due volumi è quella di un romanzo d’avventura medievale, dal Terzo libro in poi l’opera diventa più riflessiva e lascia più spazio a meditazioni teoriche, facendo a meno di citare le peculiarità dei due giganti. Esistono diversi adattamenti del Gargantua e Pantagruele per bambini e Gustave Doré, lo stesso che lavorò sul Don Chisciotte,  ha eseguito le illustrazioni per il Gargantua.

Il Gargantua fu pubblicato due anni dopo il Pantagruele, ma dal momento che racconta avvenimenti precedenti nelle edizioni moderne viene inserito prima. Abbiamo letto l’ultima edizione italiana del Gargantua e Pantagruele a cura di Lionello Sozzi che comprende tutti cinque i libri e segue il testo originale curato da Mireille Huchon [1]. Il volume fa parte della collana Classici della Letteratura Europea della Bompiani di cui abbiamo già analizzato i Saggi di Montaigne. Anche per chi non conosce bene il francese è consigliata la versione bilingue francese-italiana in quanto alcune neo-creazioni e invenzioni linguistiche si possono cogliere meglio nell’originale, visto che sono pressoché intraducibili.

Gli ideali del Rinascimento

Voglio che tu diventi un abisso di scienza. [2]

L’opera di François Rabelais è ricchissima di episodi e idee che caratterizzano ed elogiano il Rinascimento come epoca di grandi cambiamenti. La concentrazione sull’individuo, l’amore per lo studio e la riscoperta dell’antichità, ma anche i viaggi dei navigatori alla scoperta del nuovo mondo sono solo alcuni esempi. Nel XXXII capitolo del Pantagruele l’autore si arrampica fino alla bocca del gigante e proprio come i navigatori della sua epoca scopre nuovi mondi. “Dicono però che fuori di qui c’è un’altra terra, una terra nuova con un sole e una luna e tante belle cose, ma questa qui è più antica” [3]. La scoperta dei nuovi mondi costituiva un evento eccezionale che avrebbe cambiato profondamente anche il destino dei secoli a venire.

Un altro aspetto caratteristico per il Rinascimento era lo studio dei testi antichi e delle lingue classiche. Nel VIII capitolo del Pantagruele viene riportata una lettera che Gargantua manda a suo figlio che sta studiando a Parigi. Ritiene il figlio molto più fortunato di se stesso in gioventù perché anche se suo padre Grandegola si era impegnato in tutti i modi affinché il figlio potesse studiare, “i tempi, allora, non erano favorevoli e propizi alle lettere come invece lo sono oggi, né c’era allora abbondanza di insegnanti validi come quelli che hai avuti tu” [4]. Consiglia al figlio lo studio della lingua greca perché senza quella una persona non si può considerare dotta, ma anche quella ebraica (per la sacra Scrittura), quella caldaica e quella latina. Nello stile dovrebbe imitare Platone per quel che riguarda il greco e Cicerone per il latino.

Attraverso il suo personaggio Gargantua, François Rabelais elogia i tempi attuali e considera il Rinascimento addirittura superiore all’antichità: “Il mondo intero è pieno di gente dotta, di precettori preparati, di vaste biblioteche, a tal punto che penso che né al tempo di Platone, né a quello di Cicerone o di Papiniano ci siano state possibilità di studio come ce ne sono oggi” [5]. Esorta il figlio a dedicare la sua giovinezza allo studio. Oltre ai testi di letteratura e filosofia gli consiglia lo studio della storia e delle arti liberali geometria, aritmetica e musica. “Apprendi tutti i princìpi dell’astronomia, lascia stare invece l’astrologia divinatrice e l’arte di Lullo, sono fandonie e vanità” [6].

Oltre allo studio sui libri consiglia a Pantagruele la partecipazione alle pubbliche discussioni e l’assidua frequentazione di letterati. Impartisce anche alcuni consigli paterni come “non occuparti di cose vane; questa vita è transitoria […]” [7] e “fuggi la compagnia di coloro a cui non vuoi somigliare” [8] Gargantua si può ritenere appagato perché Pantagruele studia molto e “il suo spirito in mezzo ai libri era come il fuoco in mezzo alla paglia, tanto era ardente e instancabile” [9].

La religione di François Rabelais

Il furto delle campane, illustrazione di Doré
Come Gargantua s’impadronì dei campanoni di Notre-Dame, illustrazione di Gustave Doré

L’autore di Gargantua e Pantagruele era un religioso e un figlio della sua epoca. Oltre ad essere considerato anticlericale e antidogmatico, qualcuno l’aveva in passato tacciato di ateismo, ma un religioso critico con la mente aperta non deve per forza essere ateo [10]. Rabelais critica alcune pratiche della Chiesa cattolica e inizialmente trova migliori alcune idee dei riformatori. E’ contro la vendita delle indulgenze (chi non lo sarebbe?) [11], ce l’ha un po’ con i francescani e gli ordini mendicanti in generale per via della loro povertà talvolta finta (sarà perché in gioventù gli avevano procurato problemi per il suo amore per lo studio) e critica la Quaresima come pratica insalubre per il corpo (faceva il medico e la dieta del Cinquecento non era certo equilibrata come quella di oggi). Dedurre da ciò che era ateo è molto azzardato e significa tralasciare completamente il contesto storico.

Come Giordano Bruno, François Rabelais non si piegava ciecamente ai dogmi e alle regole imposte dalla sua religione. Nell’episodio sull’abbazia di Thélème traspare lo scetticismo dell’autore davanti a statuti e regole e la sua convinzione di credere nella volontà e nel libero arbitrio delle persone, confidando nell’impulso che dovrebbe spingere tutti ad azioni onorevoli e virtuose, tenendoli lontani dai vizi. Difatti l’unica regola di questa famosa abbazia è “Fay ce que vouldras” (“Fa’ quello che vuoi” [12]) Anche qui intuiamo un nuovo modo di pensare, tipico del Rinascimento.

Fino al 1536 François Rabelais era stato vicino alla Riforma protestante, ma dopo il distacco tra Umanesimo e Riforma le sue simpatie per il Protestantesimo diminuirono drasticamente. Si sarà reso conto quanto fosse fanatico Calvino, il quale peraltro lo attaccò aspramente. Rabelais era senz’altro contro i dogmi della scolastica e contro la Sorbonne che considerava un covo di teologi boriosi, ma il suo approccio libero e critico alla religione spiega soprattutto che era un uomo della sua epoca. Del resto nel Cinquecento un ateo non avrebbe certo accompagnato un cardinale e futuro arcivescovo a Roma.

L’umorismo di François Rabelais

Nei cinque libri vi sono innumerevoli situazioni comiche, si farebbe però torto a Rabelais considerandolo un semplice autore umoristico. Garantua e Pantagruele è probabilmente uno dei primi romanzi polifonici in quanto ricchissimo di registri: espressioni popolari, allegorie, episodi verosimili e di fantasia, dispute erudite, meditazioni filosofiche, riferimenti dotti si susseguono repentinamente e la lingua di Rabelais ha qualcosa di estremamente innovativo e creativo. Esistono infatti diversi studi linguistici sullo stile di Rabelais. Nel suo famoso saggio L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Michail Michailovič Bachtin si concentra per esempio sugli aspetti carnevaleschi dell’opera e le attribuisce un linguaggio popolare e “basso”.

Rabelais stesso dà molta importanza al riso che a suo avviso contraddistingue l’uomo, ma fa tuttavia notare nel prologo al Gargantua che: “[…] gli argomenti qui trattati non sono così scherzosi come il titolo faceva presumere” [13]. In un capitolo sui libri della biblioteca di Vittore vengono citati titoli di pura fantasia come “Il lamento degli avvocati sulla riforma delle spezie” e “Dei piselli col lardo, con commento” [14]. Non siamo però di fronte ad un semplice commento satirico sulla produzione di troppa cartastraccia, alcuni titoli sono anche molto precisi nell’individuazione del loro bersaglio: “Il pancione dei cinque ordini mendicanti” [15]. I commenti satirici e polemici di Rabelais non si limitano ai religiosi, ma colpiscono anche tante altre categorie tra i quali i giudici. Nel Terzo libro viene introdotto il giudice Brigliadoca che dopo un’accurata lettura delle carte processuali decide le sentenze coi dadi [16]. Di seguito analizzeremo due episodi divertenti che nella loro comicità nascondono comunque una morale.

Nel XXX capitolo del Pantagruele, che costituisce una parodia dei racconti sulla risurrezione, Epistemone dopo essere stato ferito in battaglia viene riportato in vita da Panurgo. Racconta ai suoi amici cosa aveva visto dell’Inferno dove aveva incontrato anche Lucifero. “[…] assicurava a tutti quanti che i diavoli erano brava gente” [17]. Come afferma il Vangelo, i ruoli tra poveri e ricchi nel mondo e nell’aldilà verranno invertiti. Rabelais comincia ad elencare i destini dei grandi uomini. Uno degli esempi più divertenti è quello di Alessandro il Grande: “Ho visto infatti Alessandro il Grande che rammendava vecchie brache e così, miseramente, si guadagnava da vivere”[18]. A vivere da gran signori nell’Inferno sono tutti quelli che in vita erano stati indigenti, come per esempio i filosofi. Il mondo non sembra poi così tanto cambiato negli ultimi 500 anni. “Vidi Diogene […] che faceva tribolare Alessandro il Grande se non gli aveva ben rammendato le brache” [19].

Nel sesto, settimo e ottavo capitolo del Quarto libro in cui Pantagruele e i suoi amici viaggiano per mare per raggiungere l’oracolo della bottiglia viene raccontata la contrattazione tra Panurgo e un mercante di montoni di nome Tacchinaldo (Dindenault) molto avido e taccagno. Fa il difficile e per tante pagine vanta le innumerevoli qualità dei suoi montoni. Infine fa un prezzo esorbitante a Panurgo. Riflettendo sul prezzo quest’ultimo afferma: “Siete sicuro che non sia troppo? Non siete il primo di mia conoscenza che per voler diventare ricco e far fortuna troppo in fretta, è caduto in povertà a gambe all’aria […]” [20].

Panurgo e il mercante di montoni
Il montone di Panurgo

Panurgo accetta comunque il prezzo e sceglie un montone bello e grande nel gregge. A un certo punto per dare una lezione al mercante prende il suo montone e lo getta in mare. Tutti gli altri montoni del gregge lo seguono e uno dopo l’altro si lanciano in mare. “Come sapete, fa parte della natura dei montoni seguire sempre il primo” [21]. Volendo trattenere i suoi montoni, il mercante disperato muore annegato. Grazie a Rabelais ancora oggi nel francese è rimasto l’uso proverbiale di comportarsi come un «mouton de Panurge», che significa seguire ciecamente la folla come le pecore con assenza totale di spirito critico.

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[1] François Rabelais: Gargantua e Pantagruele. Intrudozione e cura di Lionello Sozzi. Traduzioni e note di Antonella Amatuzzi, Dario Cecchetti, Paola Cifarelli, Michele Mastroianni, Lionello Sozzi. Testo francese a cura di Mireille Huchon. Milano: Bompiani. 2012.

[2] Rabelais, Pantagruele, 475

[3] Ibid, 699

[4] Ibid, 471

[5] Ibid

[6] Ibid, 473. Rabelais si riferisce all’Ars brevis di Raimondo Lullo (1232-1316)

[7] Ibid, 475

[8] Ibid

[9] Ibid, 477

[10] Lo storico francese Abel (Jules Maurice) Lefranc che curò l’opera di Rabelais tra il 1913 e il 1931 sostenne che Rabelais fosse ateo. La sua teoria molto controversa fu poi confutata da Lucien Febvre in Le problème de l’incroyance au XVIe siècle, la religion de Rabelais (1942) [Il problema dell’incredulità nel secolo XVI. La religione di Rabelais, Einaudi]

[11] Rabelais, Pantagruele, Cap XXX: „Comprate le indulgenze, birbandi, compratele, sono a buon mercato. Vi assolvo dal pane e dalla zuppa e vi dispenso da valere mai qualcosa.“ (685)

[12] Rabelais, Pantagruele, 371

[13] Rabelais, Gragantua, Prologo, 11

[14] Rabelais, Pantragruele, 461

[15] Ibid, 465

[16] Rabelais, Terzo libro, 1031

[17] Rabelais, Pantagruele, 675

[18] Ibid, 677

[19] Ibid, 683

[20] Rabelais, Quarto libro, 1215

[21] Ibid, 1217

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