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Cesare Pavese: Il Mestiere di Vivere

24-27 settembre 1928
(Ultimi giorni di Reaglie)

E il mondo ha continuato la sua via, come se nulla fosse accaduto.
Ed è giusto! Il mondo che ha già dimenticato coi loro sogni tutti i poveri morti, abbattuti e straziati nell’ultima guerra, il mondo che da millenni dimentica tutte le stragi immani e le contorsioni di dolore atroce degli uomini, tutti i sogni stroncati, gli entusiasmi e le ore più tragiche, il mondo che sempre è la stessa sfinge dalla maschera di pietra può bene neppur sussultare un istante al gesto rapido di un esaltato.
Vi sono agonie ben più lunghe e dolorose che passano.
L’unico fiore di questa civiltà prodigiosa nel suo tramonto, che non dimentica ancora e che attraverso alla morte conserva per gli uomini il battito dei cuori umani, è spirito senza volto, l’Arte. Senza volto perché universale e eterno. E perché dev’essere – è – il fascino di tutti gli uomini. Se avesse una forma tangibile anche solo nel pensiero ricomincerebbero intorno a lei le passioni e la Morte. Ed ella e l’Arte di tutte le cose umane è l’unica pura. Ha l’immortalità e l’immensità della vita, ma ha di più ancora. E’ la Vita stessa, spogliata dal suo dolore senza risposta.
(Cesare Pavese: Il Mestiere di Vivere. Torino: Einaudi, 2014, [1952], p. 416)