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Paura della libertà di Carlo Levi

Analisi dei concetti di libertà, massa e Stato-dio nei regimi totalitari

Introduzione

Paura della libertà è uno dei più importanti scritti di Carlo Levi, ma purtroppo anche il meno noto. Scrisse quel breve ma denso saggio nel 1939 in esilio in Francia per pubblicarlo poi alla fine della guerra nel 1946 presso Einaudi. Nel dopoguerra l’opera fu considerata inattuale e criticata anche dagli intellettuali marxisti per lo stile simbolico e l’assenza di fatti storici concreti. In verità è proprio la presunta inattualità che dà valore universale al testo insieme al fatto che svela i fenomeni totalitari che retrospettivamente si possono applicare ai regimi di stampo sia nazifascista che stalinista. Il linguaggio rispecchia il momento di stesura e non è né chiassoso, né propagandistico ma molto metaforico. Del resto Carlo Levi era un pittore e proprio Italo Calvino, che peraltro apprezzava molto Paura della libertà considerandolo centrale per la comprensione della restante produzione letteraria dell’autore, scrisse: Dipingere con parole, scrivere con immagini.[1] Questi fattori in ogni caso impedirono la fortuna critica del saggio che dopo due edizioni dimenticate degli anni ’60 e ’70 nel 2008 è stato riproposto in una nuova edizione dalla Neri Pozza di Vicenza con una prefazione del filosofo Giorgio Agamben.

Paura della libertà è un testo di filosofia politica che trae ispirazione alla Scienza nuova di Giambattista Vico (1725) ma contiene anche diversi riferimenti alla Bibbia. Uno dei meriti di Levi è spiegare in maniera chiara la nascita degli idoli e la trasformazione del popolo in massa informe, privata di tutte le caratteristiche individuali e perciò facilmente manovrabile dal potere. In verità lo Stato che diventa totalitario va di pari passo con il popolo che si trasforma in massa perché in un regime dittatoriale non c’è spazio né per gli individui né per la libertà. Per rafforzare la massa e la dittatura è fondamentale una scissione: una parte del popolo deve essere esclusa, emarginata, punita e la massa va aizzata contro di essa. Levi si rese conto del grandissimo ruolo della propaganda nei regimi totalitari alla quale eresse un monumento George Orwell con 1984 che vide la luce solo due anni dopo Paura della libertà. I due minuti di odio di Orwell fortificano la massa e l’aiutano a schierarsi psicologicamente contro il nemico.

I due minuti di odio
I due minuti di odio in 1984 di George Orwell

Paura della libertà costituisce una lucidissima analisi della crisi che ha colpito sia la politica che la cultura a metà del secolo scorso e che infine è sboccata nel nazifascismo. Pur parlando del regime che stava flagellando l’Europa quando Levi scrisse il saggio (o forse lo dipinse appunto a pennellate), egli evita riferimenti storici concreti il che rende l’esposizione simile a Massa e Potere di Elias Canetti, criticato per lo stesso motivo. Anche Levi rimane sul piano teorico, ma è proprio quello che non relega il testo alla sua epoca. Se si fosse direttamente riferito al regime storico senza trattare i concetti di massa, libertà, Stato-dio e capro espiratorio con un approccio universale prima o poi l’opera avrebbe perso la sua attualità e sarebbe stato molto più difficile cogliere i parallelismi con altre dittature.

Il concetto di libertà in Levi, La Boétie e Spinoza

Paura della libertà ci mostra chiaramente che quello che è successo durante la seconda guerra mondiale a livello ideologico può ripetersi quando uno Stato diventa totalitario e il popolo una massa uniforme che adora il dittatore come un dio. Un elemento centrale per quest’adorazione è la presenza di un capro espiratorio che deve essere emarginato. Il motto nazista Ein Volk, ein Reich, ein Führer sottolinea l’identità della massa, ma si regge soprattutto grazie a quelli che non ne fanno parte e sono esclusi: “un nemico necessario, che dovrà essere continuamente espulso e continuamente ritrovato, una vittima provvidenziale.”[2] Durante il nazifascismo fu trovato negli ebrei e la massa si rivolse contro loro perché lo Stato-dio chiedeva il loro sacrificio. In altri regimi erano gli oppositori politici o semplicemente i dissidenti. Per definire meglio il titolo dell’opera, Levi sostiene che proprio a causa della paura della libertà nascono i regimi totalitari: “La paura della libertà è il sentimento che ha generato il fascismo. Per chi ha l’animo di un servo, la sola pace, la sola felicità è nell’avere un padrone; e nulla è più faticoso, e veramente spaventoso, che l’esercizio della libertà.[3]

Porre le condizioni ideologiche per affermare una dittatura pare quindi piuttosto semplice. Chi teme la libertà non ha problemi ad accettare il suo ruolo di schiavo. Il dittatore-padrone lo rassicura e gli dà certezza, per questo ha cieca fiducia in lui come se fosse un dio. Sottomettendosi, lo schiavo non deve preoccuparsi di nulla e soprattutto non deve cercare risposte in maniera autonoma visto che c’è già il pensiero premasticato e deciso dal grande dittatore che gli viene somministrato attraverso la propaganda di regime. Proprio per questo gli schiavi adorano i grandi dittatori: danno certezza con le loro verità preconfezionate aiutando a combattere i mostri del pensiero libero. Nessuna inquietudine turba lo spirito, il dittatore rassicura, la propaganda con il suo apparato mediatico divulga l’unica verità incontestabile e diverte anche. Finché lo schiavo non alza la testa non avrà problemi con le autorità, può dormire sonni tranquilli. Perché dovrebbe ribellarsi?

Già Baruch Spinoza si era reso conto che la libertà di pensiero è il bene maggiore di cui disponiamo e ne riflette nel Trattato teologico-politico che abbiamo analizzato. Spinoza ritiene che ognuno deve essere padrone della propria libertà e nessuno può essere costretto a vivere secondo la volontà altrui. Lo Stato deve garantire la libertà di opinione. Nessun governo ha il diritto a prescrivere ai propri cittadini cosa sia vero o falso o cosa debbano fare. Se si arriva a quel punto lo stato democratico è già una dittatura. In uno Stato di diritto tutti devono poter esprimere la propria opinione ed essere contrari alle leggi dello stesso Stato. La libertà è anche la condizione imprescindibile affinché sia possibile un progresso nelle scienze. Quando veniamo privati di essa non ci rimane più nulla per cui valga la pena vivere. Ma perché la libertà crea così tanta paura a molti che ci rinunciano senza problemi? Il suo esercizio è faticoso ed è molto più comodo non pensare che lambiccarsi il cervello, per questo a volte più che per paura le persone ci rinunciano per abitudine. Chi rinuncia alla libertà rinuncia però anche ad un pensiero critico autonomo e si uniforma con quello della massa.

Discorso sulla servitù volontaria
Etienne de la Boétie: Discorso sulla servitù volontaria (1549)

Dovrebbe essere naturale desiderare la libertà anziché rinunciarvi per paura visto che è il diritto più importante di cui disponiamo. Oltre a Spinoza anche lo sfortunato Etienne de la Boétie (1530 – 1563), il più caro amico di Michel de Montaigne di cui abbiamo analizzato i Saggi, si è occupato di filosofia politica incentrando le sue riflessioni sulla servitù volontaria e la libertà. Il suo Discorso sulla servitù volontaria (Discours de la servitude volontaire o Contr’un) risale al 1549 ma l’autore non lo pubblicò mai in vita. Etienne de La Boétie indaga sul mistero dell’obbedienza civile e afferma che “la causa prima della servitù volontaria è l’abitudine.”[4] Secondo lui la servitù volontaria è assurda, visto che il tiranno ha solo il potere che gli accordano i suoi sudditi. Se i popoli smettessero di servire il tiranno sarebbero liberi: “La libertà è la sola cosa che gli uomini non desiderano, visto che se la desiderassero la otterrebbero.”[5] Questo è un concetto fondamentale: nessuno ci deve promettere la libertà in cambio a qualcosa essendo essa un diritto naturale. E’ molto semplice togliere il potere al tiranno, basta non servirlo più e si è automaticamente liberi.

La Boétie ritiene appunto che la libertà è un diritto naturale da difendere sempre e comunque. Alcune persone infatti si distinguono dalla plebaglia e valutano attentamente ogni situazione, prima di andare con le masse e di rinunciare alla loro libertà di pensiero. “Anche se la libertà fosse del tutto perduta e scomparisse dalla faccia della terra, costoro riuscirebbero a immaginarsela, la rivivrebbero nel loro spirito e saprebbero assaporarla; la servitù non è di loro gusto, qualunque cosa si faccia per mascherarla.”[6] Chi sono queste persone che sanno lottare per la libertà? “Si tratta di individui che, avendo per natura uno spirito acuto l’hanno ulteriormente affinato con lo studio e il sapere.”[7] E’ quindi normale che in tutti i regimi totalitari gli oppositori politici sono prevalentemente persone informate che leggono, mentre è di poco conto il livello di istruzione.

Carlo Levi

Carlo Levi
Carlo Levi

Carlo Levi nacque a Torino nel 1902. Come il suo omonimo Primo Levi anche Carlo Levi fu un “outsider” dell’ambiente letterario. Laureato in medicina a Torino, decise di dedicarsi prima alla pittura e all’impegno politico antifascista per poi approdare alla letteratura. La sua motivazione è però sempre la stessa: il grandissimo rispetto per l’umanità e l’impegno per i deboli, i dimenticati e gli emarginati. Si è sempre impegnato per la libertà e la giustizia, nonostante la sorte gli fu più volte avversa durante il fascismo. Fu sempre coerente con le sue idee e anche la pittura nei suoi occhi doveva essere espressione di libertà. Per questo motivo non si sottomise mai alla pittura di regime, che a rifletterci bene fu prerogativa sia dei fascisti (futurismo) che dei comunisti (realismo socialista). “L’arte diventa monotona ripetizione, litania, quando non è sforzo disperato di impossibile libertà, nostalgia o speranza.”[8] Nella sua scrittura peraltro è facile intravedere la mano di un pittore e viceversa anche i suoi ritratti di contadini e donne lucane raccontano delle vere storie.

Bambina lucana
Carlo Levi: bambina lucana

Mentre Primo Levi diede voce ai deportati nei campi di concentramento, Carlo Levi si impegnò a migliorare la vita ai contadini lucani ai quali eresse dei monumenti sia sulla tela che in letteratura con l’obiettivo di far conoscere la loro sorte. Mise in pratica anche numerose azioni di sostegno concreto e fece in modo di divulgare la loro condizione disumana, abbandonata dallo Stato. Conobbe la Lucania a causa del suo impegno antifascista: nel 1935 vi fu mandato in confino, prima a Grassano poi ad Aliano. L’esperienza, durata fino a metà 1936, ispirò Cristo si è fermato ad Eboli pubblicato da Einaudi nel 1945 e celebre anche per l’omonimo film di Francesco Rosi del 1979. Levi fu arrestato a Torino insieme a Cesare Pavese e Giulio Einaudi e molti altri che facevano parte del movimento antifascista Giustizia e Libertà e che nel 1933 avrebbero contribuito alla fondazione della casa editrice con Leone Ginzburg. Pavese fu inviato in confino a Brancaleone (Calabria) che figura in diversi suoi racconti e romanzi.

Una delle opere pittoriche più importanti di Carlo Levi è il grande pannello Lucania ’61 che fu dipinto per il centenario dell’Unità d’Italia a Torino. E’ lungo 18 metri e mezzo e alto 3 metri e si trova a Matera, nel Palazzo Lanfranchi. Carlo Levi morì nel gennaio del 1975 ed è sepolto ad Aliano. Il paese del suo confino ancor ‘oggi propone numerose iniziative dedicate alla sua memoria e organizza ogni anno un premio letterario. A partire dal 1945 ebbe una lunghissima relazione con la figlia di Umberto Saba, Linuccia (1910 – 1980). Insieme ad Eugenio Montale aiutò suo padre a sfuggire alle persecuzioni nazifasciste. Fu infatti Linuccia Saba ad istituire la Fondazione Carlo Levi di cui divenne anche la prima presidente.

Carlo Levi: Lucania 61 (dettaglio)
Carlo Levi: Lucania 61 (dettaglio)

Cos’è rimasto dell’impegno di Carlo Levi? Non molto, purtroppo, però Paura della libertà è attuale come mai prima, come scrive anche Giorgio Agamben nella prefazione: “Di fronte alla cecità di una classe dirigente, che, tanto a destra che a sinistra dello schieramento politico, continua a muoversi servilmente nella direzione indicata dallo sviluppo capitalistico, è possibile che le parole di Levi e del giovane Pasolini allora decisamente intempestive, trovino proprio oggi l’ora della loro leggibilità.”[9] Da anni politicamente assistiamo alla mancanza totale di impegno per il popolo fino ad arrivare ad un completo annullamento degli schieramenti ideologici del passato.

La forza lavoro è stata ridotta ad una massa uniforme e nei giorni d’oggi nelle fabbriche si lavora in condizioni come ai tempi di Charles Dickens. Basta guardare le statistiche dei morti al lavoro che fanno paura senza che nessun schieramento politico se ne preoccupi. Oramai l’unico obiettivo è il dio denaro del libero mercato che, a forza di decenni di lavaggio di cervello con grandissima colpa e complicità della scuola e dei mass media, si è radicato nelle teste di tutti. Vie di uscita probabilmente non ci sono, ma la lettura può sempre dare una mano a risvegliare le coscienze e gli animi anestetizzati. Anche La Boétie era dell’avviso che “sono i libri e il sapere a dare agli uomini la capacità di prendere coscienza di sé e a suscitare l’odio per la tirannide.”[10] Chi legge riconosce meglio di altri le derive totalitarie e dà anche il giusto valore alla libertà.

Il concetto di massa in Paura della libertà e Massa e Potere

Nella prima prefazione del 1946 Levi descrive lo stato d’animo che lo affliggeva alla stesura del saggio sette anni prima quando “Tutti i dati di una civiltà parevano dissolversi in nebbia; ci stava innanzi un futuro incerto, per i destini del mondo e per il destino particolare di ciascuno.”[11] Parla dei tempi difficili, del vento di morte che flagellava gli antichi stati d’Europa ma anche della voglia di fare il punto ed analizzare i motivi che hanno portato alla catastrofe e al crollo delle vecchie ideologie. Ammette che nel saggio “c’era una teoria del nazismo, anche se il nazismo non è una sola volta chiamato per nome; c’era una teoria dello Stato e della libertà […]”[12] Questo fatto gli procurò molte critiche nel ‘46 quando le opere antifasciste erano prevalentemente propagandistiche ma in verità costituisce un grande merito del saggio.

Qui vale la pena un parallelismo con Massa e Potere di Elias Canetti (pubblicato nel 1960 – ma scritto in quasi 40 anni): l’opera parla del nazionalsocialismo, ma come Paura della libertà menziona rarissimamente Hitler o fatti concreti del Terzo Reich in quanto troppo recenti. Non è un caso, visto che l’autore trova il culto del Führer universale e comune di tutti i regimi totalitari. Come Levi, Canetti vede qualche somiglianza tra dio e il dittatore che esercita il potere sulla massa[13] ma si limita ai metodi senza arrivare ai paragoni Stato-dio di Levi. Secondo quest’ultimo la massa si fida ciecamente del dittatore e lo adora come se fosse un dio e perciò è disposta a morire o a uccidere per lui.

Canetti dà la colpa dell’antisemitismo e dei campi di sterminio dei nazisti non solo ai carnefici ma a tutta la massa immobile che taceva ma non ha fatto nulla per evitare quello che è successo.[14] Uno dei problemi principali secondo lui è agire dietro ordine in quanto rende le persone capaci ad eseguire i crimini più atroci con una scusa banale.[15] “Io eseguivo soltanto degli ordini” è diventata la giustifica universale per qualsiasi sopruso e discriminazione. Per Canetti, l’uomo libero è proprio colui che ha imparato a non rispettare gli ordini.[16] Se l’ordine è uccidere o emarginare qualcuno la risposta dovrebbe sempre essere la disobbedienza ma la storia ci insegna che raramente le cose sono andate in questa maniera. Per Canetti la gravità degli ordini non è solo che possono arrivare a mettere in pericolo la vita delle persone ma anche il fatto che sono univoci senza poter essere discussi. Proprio per questo le persone non hanno riflettuto sugli ordini assurdi o su quegli che nuocevano agli altri o attentavano alla loro vita. L’ordine per definizione non ammette la contraddizione, non può essere messo in dubbio, spiegato o discusso e proviene sempre dall’alto.[17]

Levi definisce la massa come segue: “Nel gran corpo individuale di un popolo, è la pura materia, fuori della coscienza e della memoria storica. […] Massa non è quindi il popolo, e neanche la sua parte più bassa, la plebe; né è una determinata classe sociale – ma è la folla indeterminata, che cerca, con l’angoscia del muto, di esprimersi e di esistere.[18] Il popolo pensa, la massa si sottomette agli ordini del dittatore. Una delle caratteristiche della massa secondo Canetti è l’uguaglianza, ma nel senso negativo. I membri diventano indistinti e si muovono all’interno della massa come parti di essa rinunciando alla loro identità. Levi scrisse: “Il destino accomuna gli uomini, li ripiomba nella uguaglianza originaria, e, poiché è indifferente, essi ridiventano indifferenziati.”[19] Nella massa tutti sono uguali e nessuno è migliore degli altri, per questo le persone vengono attirate. E’ difficile opporsi alla massa perché serve una volontà di ferro.

Carlo Levi: Lucania 61 (dettaglio)
Carlo Levi: Lucania 61 (dettaglio)

Le grandi guerre creano la massa. Un passaggio che evidenzia anche Canetti è quello di un uomo qualunque che lascia la sua casa, i suoi affetti, la sua vita per ridursi a diventare massa e combattere per un idolo. La persona che si uniforma alla massa è anche disposta a farsi del male o a mettere in pericolo la propria vita perché va ciecamente con la massa anziché affidarsi del proprio istinto individuale. Secondo Canetti molte volte si continua a combattere una guerra ormai persa solo per non dover sciogliere la massa. Quest’ultima sceglie quindi piuttosto l’annientamento solo per non doversi disperdere.[20] La morte in massa fa meno paura di quella individuale. L’obiettivo principale di ogni guerra è l’uccisione del nemico in massa e le due frazioni sono entrambe masse contrapposte. Ogni massa combatte unita contro i nemici sia in guerra che nella vita civile.

I due lati opposti della medaglia affinché un sistema dittatoriale rimanga in piedi sono da un lato il leader totalitario e dall’altro la massa che lo adora. “La divinità della massa e quella dello Stato coincidono: i due idoli hanno lo stesso aspetto: la totalità. Il terrore della passività assoluta e indistinta, e il terrore della libertà, generano, da parti opposte, la stessa religione: lo Stato di massa.”[21] La massa non vuole la libertà in quanto è felice ad eseguire in maniera quasi meccanica gli ordini del dittatore. Levi confronta il ruolo dello Stato totalitario con la chiesa perché tutte le religioni sono sempre state molto brave a creare una massa di fedeli. Promettono sicurezza e certezza in cambio della libertà e il fedele non deve per forza scomodarsi a pensare: “la folla adorante si limita alle risposte cadenzate, agli Amen, agli Ora pro nobis, ai Kyrie eleison, e si sente, con questo, liberata, e partecipe della divinità.”[22] Un alto fatto importante è che i fedeli sono ubbidienti come la massa, per la paura di essere puniti nell’aldilà. Levi vede sia la religione che Dio sotto una luce negativa, perché nell’epoca fascista non era possibile pensare altrimenti anche a causa della complicità della Chiesa.

La massa per definizione non pensa, o meglio dire non esiste il pensiero tra gli individui che la compongono in quanto sarebbe dannoso per essa stessa. “Le manifestazioni di massa non possono essere espressive: non c’è posto per la molteplicità e il pensiero, ma soltanto per l’unicità dell’azione; e non dell’azione come libertà, ma soltanto dell’azione come passività, necessità, natura […]”[23] Proprio per questo motivo all’interno della massa non è ammesso il dissenso perché la distruggerebbe, mentre le minacce dall’esterno, la lotta contro chi è fuori dalla massa le danno ancora più forza. La massa non agisce attivamente, ma sempre come mezzo in mano al potere che la manovra a suo piacimento. Non può esistere senza una direzione imposta dall’alto e vice versa anche lo Stato-dio si serve della massa per il raggiungimento dei propri scopi.

Lo Stato-dio e il sacrificio del capro espiratorio

Carlo Levi: Lucania 61 (dettaglio)
Carlo Levi: Lucania 61 (dettaglio)

La prima parte del saggio di Levi si intitola Ab Jove principium ed egli comincia appunto con l’argomentazione principale, la Divinazione dello Stato che crea servitù. Vorremmo approfondire il concetto di Stato-dio perché è cruciale per l’intera opera. Ogni religione cerca di trasformare i miti in riti, a trasformare l’inesprimibile in fatti e parole. “Non c’è plebe senza re: non c’è massa senza Dio.”[24] La religione libera lo spirito dal senso di trascendenza perché la sostituisce con simboli visibili e idoli.[25] In quel modo tutti possono praticarla indistintamente e la grande massa ha accesso al culto. “Ma i tempi rari di libertà hanno i re dimenticati, gli idoli sepolti.”[26] Il dio della massa non deve per forza essere religioso, può anche essere un dittatore laico che fa uso di metodi “religiosi” per sottometterla.

Secondo Canetti quello che vogliono le chiese è un gregge ubbidiente, per questo i fedeli vengono spesso chiamato pecorelle e lodate per la loro sottomissione.[27] La fede cieca in una religione qualsiasi è molto simile alla fiducia che viene posta in un dittatore in quanto si abbandona lo spirito critico per credere in maniera non riflessiva in un dio politico. La società e lo Stato diventano déi e lo rimarranno finché gli uomini non sentono la necessità di libertà. Levi pensa che non basta gridare “svégliati” al popolo, questo non lo libererà dal torbido sonno e dai mostri adorati.[28]

La seconda parte tratta del Sacrificio, visto che ogni religione muta il sacro in sacrificale. Non esiste religione senza sacrificio, quelle inoffensive fanno offerte al posto dei sacrifici.[29] Importante è trovare un gruppo di persone da “sacrificare” e “attaccare”: “Sul piano sociale, il sacrificio necessario sarà la mutilazione di una parte della società. Un gruppo, una classe, una nazione dovranno forzatamente essere espulsi, essere considerati nemici, diventare stranieri per poter essere testimoni del dio, e vittime.”[30] Durante il nazifascismo vennero sacrificati gli ebrei, alcuni gruppi etnici come rom, i disabili e gli oppositori politici, mentre nella Russia stalinista i gulag erano riservati quasi esclusivamente agli oppositori politici e agli intellettuali, i celebri “nemici del popolo”. L’unica cosa che accomuna tutti i regimi è la presenza imprescindibile di qualcuno sul quale incentrare una campagna di odio, su cui aizzare la massa. Questa pratica era anche comune tra le diverse religioni, basti pensare alle violente guerre tra cattolici e protestanti. I cristiani che distruggevano le statue della Grecia antica, i calvinisti che vandalizzavano le chiese dei cattolici e i talebani che hanno fatto esplodere i Buddha di Bamiyan erano tutti spinti dallo stesso fanatismo.

Orologio gufo
Carlo Levi: Orologio gufo

Oggi dalle nostre parti è meno comune la discriminazione di un popolo o di appartenenti ad una religione, ma di persone che non si sottomettono alla servitù e agli ordini dello Stato, quindi degli oppositori politici. Siamo quindi di fronte ad una discriminazione più di tipo stalinista. Chi pensa con la propria testa e non crede nella propaganda del regime sotto il quale vive diventa automaticamente un fuorilegge, un nemico e una persona da emarginare. La massa lo discrimina perché il dittatore glielo ordina, lo farebbe anche con un fratello o un amico.

Per Levi hostis e hostia sono una cosa sola, il nemico e lo straniero devono essere uccisi o sacrificati. “[Gli uomini] cercano una eterna certezza: una certezza che si paga con servitù e con morte.”[31] Gli ordini imposti dal regime danno certezza anche se spesso costituiscono una sentenza di morte per altri. Le persone che massacrarono gli ebrei nei campi di concentramento erano persone “qualunque” manipolate da un odio di regime che li ha resi bestie con i suoi ordini. Seminare odio per aizzare le masse contro chi non si sottomette è una strategia utilizzata da tutti i dittatori di questo mondo. Ha molto successo perché anche l’uomo qualunque può diventare una bestia e un assassino rinunciando alla sua individualità e umanità e uniformandosi con la massa feroce.

La schiavitù volontaria

Non sappiamo se Carlo Levi avesse letto Il Discorso sulla servitù volontaria di Etienne de la Boètie ma in Paura della libertà riflette sullo stesso concetto:

“La servitù volontaria crea gli idoli; è essa stessa l’iniziazione; è la rottura con il mondo della vita indeterminata e con quella della vita personale. […] Lo Stato-idolo non può esistere se non attraverso un processo di alienazione e di sacrificio sociale: se non attraverso la schiavitù. Schiavitù e divinità dello Stato sono una cosa sola: la divinità dello Stato è schiavitù, e la schiavitù non potrebbe esistere senza divinità dello Stato: poiché il dio e la vittima coincidono.”[32]

L’uomo abdica volontariamente alla propria libertà e accetta di diventare schiavo allo scopo di poter far parte della massa. Se non diventasse schiavo e non rinunciasse a se stesso sarebbe impossibile uniformarsi ad essa. Rinuncia a tutte le sue idee personali, alla sua vita e subordina tutto al nuovo idolo. Secondo Levi il nostro atteggiamento nei confronti della schiavitù è paradossale: da un lato ci scandalizziamo degli schiavi e della disumanità con la quale furono trattati in altre culture (p.es. nell’antichità) ma rifiutiamo di comprendere che lo Stato anche oggi ci sta “schiavizzando”. In qualsiasi modo in cui uno Stato costringe i cittadini di sottomettersi alla propria volontà li rende schiavi. Anche le multinazionali stanno schiavizzando gli operai con turni di lavoro massacranti ma nessun schieramento politico si scandalizza. La schiavitù e la sottomissione sono assolutamente funzionali ai regimi odierni anche perché gli schiavi raramente rovesciano il loro dio.

Carlo Levi: Lucania 61 (dettaglio)
Carlo Levi: Lucania 61 (dettaglio)

Anche molti movimenti rivoluzionari sono limitati e spesso sboccano nella stessa schiavitù dei regimi contro i quali si sono opposti. “Perché lo Stato sia dio, tutto l’uomo, in quanto è Stato, dev’essere servo; e tutti gli uomini lo sono, dal re stesso al più basso dei paria.”[33] Nello Stato-dio tutti sono schiavi, non importa a che ceto appartengono. La schiavitù di taluni talvolta è anche funzionale alla libertà di altri: “perché Roma fosse libera, il mondo intero doveva cadere in schiavitù”[34] Di quella schiavitù la gente si scandalizza ma quando si tratta di capire la propria condizione di schiavi chiudono occhi, orecchie e bocca rifiutando qualsiasi dialogo.

Quando gli schiavi non si possono prendere con le armi o comprare con il denaro, secondo Levi bisogna crearli in altro modo: “i cittadini stessi dovranno diventare schiavi, per un processo di espulsione e di differenziazione.”[35] Lo Stato-dio deve creare li schiavi perché sono funzionali alla sua esistenza. Anche Canetti sostiene che chi è al potere cerca soprattutto di rendere schiavi o bestie i membri del popolo a lui sottomesso. In più si impegna a dividere il popolo in massa ubbidiente e individui emarginati che dovranno essere odiati dalla massa per la loro diversità.

Abdicare alla propria libertà in nome della certezza e la crudeltà dello Stato-dio

La maggiore criticità dei movimenti di massa è che non lasciano più posto per la persona e per l’individuo, visto che il tutto diventa una massa unica e informe. Un altro aspetto che accumuna la religione ai fenomeni di massa politici è fornire certezza o sicurezza.  “Religione è limitazione individualizzatrice di quello che non ha forma, fissazione simbolica dell’indeterminato.”[36] L’indeterminato fa paura, come la libertà, per questo bisogna cercare di fissarlo simbolicamente. Le preghiere sono propedeutiche agli ordini politici, non devono avere senso e l’obiettivo non è stimolare il pensiero ma creare certezza. “Il linguaggio religioso è perciò, per sua natura, inespressivo. Una preghiera non deve avere alcun senso […] deve essere, come ogni simbolo, precisa e determinata, e infinitamente ripetibile.”[37] Tutto il linguaggio religioso nasce da un bisogno di fissazione e di certezza che è rilevante soprattutto in tempi bui. Né la preghiera né l’ordine viene messo in dubbio.

Motto dell'Iperstato Oceania
Slogan del Socing in 1984 di George Orwell

Un’altra prerogativa delle religioni che le accumuna allo Stato è la crudeltà, basti pensare alle guerre di religione. “Se perfino Cristo nasce dal sangue; se ogni uomo crede di diventare immortale, di diventare un dio attraverso la propria vera morte; come potrà originarsi la divinità dello Stato senza uccisioni, stragi e guerra?”[38] Lo Stato totalitario e la religione fanatica giustificano la crudeltà. In fondo contribuisce ad annientare “i cattivi” , i malpensanti” e a rafforzare la massa, il gregge ubbidiente che segue fedelmente l’unica verità ammessa.

“Alla divinità statale la guerra sarà sacrificio perfetto, perché per essa saranno vittime i nemici, gli estranei al dio;”[39] La crudeltà nei confronti degli individui che non fanno parte della massa è giustificata, come era giustificato bruciare le persone nei forni da parte dei nazisti. In fondo hanno eseguito solo degli ordini. I nemici non morti in guerra diventeranno schiavi, ma rimangono vittime di uno stesso idolo. La pericolosità sta proprio nell’idolatria: “Gli stermini dei prigionieri e dei vinti sono non solo legittimi, ma necessari alla guerre religione – ed è vano e stolto stupirsi dei bombardamenti delle città aperte e della morte dei fanciulli quando si combatte per un idolo.”[40] Quando c’è un’unica verità a quella viene subordinato tutto, anche la vita delle persone. I sacrifici servono a mantenere in piedi la struttura dello Stato-dio totalitario, costi quel che costi.

Va combattuto quindi in primis il senso idolatrico dello Stato: “Solo lo stato di libertà, è stato di pace: dove è vera pace, là è vera libertà, perché gli idoli non vivono senza guerra; ma gli uomini vivono soltanto nella pace.”[41] Dove regna libertà non ci sono guerre e spariscono anche gli idoli grazie al pensiero individuale delle persone. Gli idoli sono invece funzionali alle dittature e alla guerra: “[…] il sangue del nemico rappresenta il sangue dell’idolo: lo Stato deve sanguinare per vivere e per vincere; morire per la patria è dunque un privilegio sacerdotale. […]”[42] Chi non ha idoli e non esegue ordini è automaticamente libero.  

Non solo morire in guerra diventa un privilegio, anche uccidere costituisce un versar sangue sacro.  Proprio grazie alla guerra di possono essere conservarti il Dio e la schiavitù.[43] Visto che non pensa più, la massa non si rende conto che è carne da macello che si sacrifica per gli idoli dello Stato. Altrimenti nessun soldato si presterebbe alla guerra. La libertà è sinonimo di pace: “Una libertà vera, e non puramente istituzionale, non conosce guerre, perché le ha già vinte tutte, e non conosce eserciti perché li ha tutti distrutti; e se le avviene di dover combattere per difendersi contro i rinascenti dei e i risorgenti eserciti, è perché essa non era del tutto vera e del tutto libera.”[44] Se ci riflettiamo bene, anche molti movimenti di liberazione sono sboccati in dittature.

Il ruolo della propaganda e la distruzione del libero pensiero

“Il linguaggio poetico è impossibile, e con esso l’arte e la cultura: esso deve essere sostituito dal linguaggio religioso, dal rito delle armi, dalla ripetibile certezza.”[45] – Oggi assistiamo ad una distruzione della cultura e dell’intero sistema scolastico che non trasmette più conoscenze ma competenze utili per il mercato del lavoro svuotando completamente le menti e impedendo la nascita del pensiero critico nelle giovani generazioni. L’arte e la cultura sono troppo elitarie, occorre un linguaggio semplice, religioso, propagandistico che indottrina solo certezze e verità e non insegna a pensare.

Nel suo Discorso sulla servitù volontaria La Boétie definiva i teatri, i giochi, gli spettacoli e i gladiatori come “l’esca della servitù, il prezzo della libertà, lo strumento della tirannide”, visto che “stordivano i loro sudditi sotto il giogo”[46] Anche il più importante rappresentante della Scuola di Francoforte, Theodor Adorno non vede di buon occhio i mass media, in quanto manipolano l’opinione pubblica. L’industria culturale anziché promuovere il libero pensiero diffonde solo valori propagandistici del rispettivo regime soggetti alla logica capitalistica che non lascia spazio al dissenso. Fortunatamente ad Adorno non toccò vedere la televisione attuale, dal momento che era rimasto disturbato già dalla radio e televisione degli anni ’60.

Immagini di propaganda
Esaltazione dell’idolo nella propaganda di regime.

Anche Levi menziona il grandissimo ruolo della propaganda e della cultura della massa: “La propaganda è sempre religiosa, è sempre «propaganda fide»: credere nell’idolo non è pensare, ma adorare;”[47] Molte persone non si rendono nemmeno conto del potere dei mass media che indottrinano, separano quelli che pensano “la verità” da quelli che non si allineano al pensiero dominante. L’adorazione è sempre passiva e richiede che il pensiero libero prima sia stato anestetizzato. Un’altra caratteristica è il divieto assoluto di mettere in dubbio il pensiero dominante con il sistema tesi-antitesi-sintesi di Hegel. La tesi è una sola, l’antitesi non ha ragione di esistere e la sintesi deve per forza corrispondere alla tesi visto che la contrarietà non è ammessa.

Analizzando lo slogan del fascismo Levi giunge alla seguente conclusione: “Credere, obbedire, combattere. Dove la massa è sacra, e lo Stato divino, non si può creare né parlare, ma credere e pregare. […] la guerra eterna è sola generatrice di dèi.”[48] Questo slogan chiarisce anche in che modo lo Stato ha preso il posto della religione. L’ideologia totalitaria è diventata una religione, un Dio in cui credere. Nonostante singoli rappresentanti che si sono coraggiosamente opposti alle barbarie, l’autorità religiosa quale istituzione ha sempre ufficialmente appoggiato o tollerato i regimi totalitari e forse proprio per questo motivo può fungere da esempio ideologico.

Non si deve chiedere, avere dubbi, ma bisogna credere con fede e obbedire senza diventare scomodi per combattere insieme alla massa ubbidiente. Chi si rifiuta diventa automaticamente un capro espiratorio, lo straniero di Levi, l’ebreo del nazifascismo e tutto quello che in qualsiasi epoca viene odiato e perseguitato dalle masse. Chi crede in un idolo o obbedisce ad uno Stato totalitario annulla il pensiero critico e adora i suoi idoli senza mettere in moto il cervello. E’ disposto a uccidere per il suo dio perché ha abdicato alla propria umanità e al pensiero libero. Non si ferma chiedendosi: ma che cosa sto facendo? Altrimenti non si potrebbero spiegare i milioni di morti nelle guerre, l’esistenza dei campi di concentramento, l’odio fanatico e i fenomeni di massa.


[1] Italo Calvino: Dipingere con parole, scrivere con immagini. Ed. da Lene Waage Petersen e Birgitte Grundtvig, Nuova Prosa, Edizione speciale 42 (2005)

[2] Carlo Levi: Paura della libertà, Vicenza: Neri Pozza, 2008 [1946 Einaudi] p. 134

[3] Carlo Levi: Paura della libertà, Editoriale di La Nazione del Popolo, 1944 (?), p. 1 [citazione originale non reperita] La Nazione del Popolo era un quotidiano fiorentino pubblicato a cura del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale tra il 1944 e il 1947. Levi era tra i 5 condirettori e aveva un ruolo importante sia nella scelta dei collaboratori che nella stesura degli articoli di cui scrisse una trentina.

[4] Etienne de La Boétie: Discorso sulla servitù volontaria. Macerta: Liberi libri, 2004, p. 19

[5] La Boétie, Servitù volontaria, 8

[6] Ibid, 20

[7] Ibid

[8] Levi, Paura della libertà, 131

[9]   Ibid, 25 (prefazione di Giorgio Agamben)

[10] La Boétie, Servitù volontaria, 21

[11] Levi, Paura della libertà, 28

[12] Ibid, 30

[13] „Es sollen also die Nationen hier so angesehen werden, als wären sie Religionen.“ (Elias Canetti: Masse und Macht. Frankfurt: Fischer, 1960 [2020], p. 198)

[14] „Man ist noch heute fassungslos darüber, daß Deutsche so weit gegangen sind, daß sie ein Verbrechen von solchen Ausmaßen, sei es mitgemacht, sei es geduldet oder übersehen haben.“ (Canetti, Masse und Macht, 219)

[15] Cfr. Ibid, 391 (Es ist bekannt, daß Menschen, die unter Befehl handeln, der furchtbarsten Taten fähig sind.)

[16] „Der >freie< Mensch ist nur der, der es verstanden hat, Befehlen auszuweichen, und nicht jener, der sich erst nachträglich von ihnen befreit.“ (Canetti, Masse und Macht, 361)

[17] Cfr. Canetti, Masse und Macht, 357 s.

[18] Levi, Paura della libertà, 126

[19] Ibid, 127

[20] Cfr. Canetti, Masse und Macht, 82

[21] Levi, Paura della libertà, 130

[22] Ibid, 131

[23] Ibid, 131

[24] Ibid, 39

[25] Cfr. Ibid, 42

[26] Ibid, 41

[27] “Was sie sich wünschen, ist […] eine folgsame Herde. Es ist üblich, die Gläubigen als Schafe zu betrachten und für ihren Gehorsam zu loben.” (Canetti, Masse und Macht, 25)

[28] Cfr. Levi, Paura della libertà, 45f

[29] Cfr. Ibid, 49

[30] Ibid, 55

[31] Ibid, 56

[32] Ibid, 73 e 75

[33] Ibid, 76

[34] Ibid, 77

[35] Ibid, 78

[36] Ibid, 89

[37] Ibid, 89

[38] Ibid, 109

[39] Ibid, 109

[40] Ibid, 109

[41] Ibid, 110

[42] Ibid, 111

[43] Cfr, Ibid, 113

[44] Ibid, 120

[45] Ibid, 131

[46] La Boétie, Servitù, 24

[47] Levi, Libertà, 132

[48] Ibid, 133

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