Analisi di La Cena delle ceneri, Spaccio de la bestia trionfante e De gli eroici furori
Quel che è stato sarà
e quel che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole.[1]
“Vanità, vanità, ogni cosa è vanità.[2]
Frangar, non flectar
Introduzione
Prima di essere arso vivo il 17 febbraio 1600 in Campo dei Fiori, Giordano Bruno trascorse sette lunghi anni nelle prigioni del Palazzo del Sant’Uffizio. Non solo lo torturarono e lo costrinsero a vivere in condizioni disumane ma per tutto quel tempo gli tolsero anche la possibilità di scrivere e – visto l’ambiente – probabilmente anche quella di pensare. Nei secoli che seguirono egli è diventato un mito per la morte violenta sul rogo, ma le sue opere filosofiche sono purtroppo poco diffuse e studiate. Sappiamo poco anche della vita del grande filosofo e teologo e non ci è pervenuto nemmeno un ritratto discreto[3].
La Chiesa fu aspramente criticata per la morte atroce di Bruno, ma un libero pensatore come lui avrebbe avuto problemi in tutte le epoche, compresa la nostra in cui la religione è stata rimpiazzata dalle ideologie e la libertà di pensiero è di nuovo considerata eretica ed eversiva. In Paura della libertà Carlo Levi usa il concetto di Stato-dio per descrivere le dittature secolarizzate. Purtroppo, non c’è niente di nuovo sotto il sole – non a caso fu proprio questo il motto di Bruno che lo prese in prestito dal Qoèlet (Ecclesiaste), un libro della Bibbia che vale la pena leggere, non solo per lo stile ma anche per il pessimismo che ricorda quello di Epicuro e Lucrezio e per l’affinità con l’esistenzialismo.
Giordano Bruno non fu né ateo, né eretico, semplicemente non aveva l’animo da servo ma una mente aperta e critica. Tommaso d’Aquino, che Bruno conosceva bene attraverso i suoi studi, riteneva che il libero arbitrio fosse una delle caratteristiche più importanti dell’uomo e anche nella Bibbia la libertà è considerata bene e la schiavitù male[4]. Anche Baruch Spinoza considerava la libertà di pensiero uno dei beni maggiori dell’uomo e secondo lui nessuno dovrebbe essere costretto a vivere secondo la volontà di altri. Bruno difatti aveva una sorta di allergia contro coloro che pretendevano di avere la verità in mano e da buon filosofo dubitava di tutto.
Egli conosceva a fondo sia la Bibbia che le opere dei dottori della Chiesa ma aborriva le smanie di onnipotenza dei religiosi della sua epoca nonché molti aspetti del culto. Come il suo contemporaneo Michel de Montaigne (1533 -1592), Bruno aveva visto da vicino le guerre di religione e criticò aspramente sia i riformati (che a suo avviso non lo erano per nulla) che i cattolici. Aveva colto nel segno che il fervore e il fanatismo religioso nascondono sempre interessi di diversa natura – spesso di carattere economico o politico – e nel suo concetto di religione non vi era spazio per la violenza.
Giordano Bruno merita di essere conosciuto non solo per la sua morte violenta, ma per le sue idee straordinarie, la sua intelligenza fuori dal comune e la sua sensibilità. Le sue opere sono difficili per via dello stile tardorinascimentale, ma contengono tante idee illuminate che hanno segnato i secoli che ci separano da lui. La sua religione era soprattutto interiore e andava oltre ai stretti confini del culto. Per lui era sufficiente vivere in maniera retta senza fare del male agli altri (animali compresi) e forse per questo fu più volte scomunicato. In fondo le scomuniche in tutte le epoche venivano inflitte per rieducare le menti troppo brillanti che mettevano in dubbio le regole assurde imposte dall’alto. Chi pensa è più incline a non farsi sottomettere e nel secolo che ebbe inizio con la tragica morte di Bruno fu scomunicato anche Spinoza.
Bruno era un pacifista ante litteram e uno straordinario osservatore della natura che riconosceva sentimenti e intelligenza agli animali. Dio e la Natura per lui erano un’unica cosa in quanto Dio non solo ha creato la Natura ma è anche parte di essa: “La cognizione divina non è come la nostra, la quel séguite dopo le cose; ma è avanti le cose e si trova in tutte le cose […]”[5] Egli infatti fu definito un filosofo della natura e secondo Sossio Giammetta da lui ebbe inizio l’età moderna.
Approfondendo le sue opere si scopre che Bruno ha anticipato Galileo Galilei in relazione a molti concetti, ma quest’ultimo non riconobbe mai i suoi meriti. Era Bruno che aveva scoperto la rotazione del sole intorno al proprio asse e l’infinità dell’universo. Galileo lo avrà temuto come avversario? Può darsi, ma mentre egli qualche decennio dopo avrebbe abiurato, rinunciando ai suoi principi, Bruno non si è piegato, ma spezzato – frangar, non flectar.
La vita di Giordano Bruno
Giordano Bruno nacque con il nome di Filippo i primi giorni di febbraio del 1548 a Nola. La piccola cittadina nei pressi di Napoli ha sempre giocato un ruolo importante nella sua vita anche se l’ha lasciata giovanissimo. In tutte le sue opere Giordano Bruno si autodefinisce “Nolano”, un’usanza senza dubbio comune per l’epoca del Rinascimento, basti pensare a Leonardo da Vinci, Pico della Mirandola, Raffaello da Urbino o Erasmo da Rotterdam. Potrebbe però anche darsi che voleva ricordare le sue radici lontano dalla patria e del resto fu l’unico “Nolano” famoso del mondo.
La famiglia probabilmente era abbastanza benestante da poterlo far studiare e per completare i suoi studi si stabilì a Napoli. A 18 anni (!) fu per la prima volta sospettato di eresia perché aveva letto Erasmo da Rotterdam, proibito dai Domenicani, non a caso anche titolari della “Santa” Inquisizione. L’immensa cultura di Bruno è notevole soprattutto alla luce delle limitazioni con cui si dovette scontrare nei conventi fin da giovane. Non sappiamo se Bruno avesse conosciuto Montaigne, ma è invece noto che i Domenicani avevano censurato i Saggi di quest’ultimo.
Nel 1572 Bruno fu consacrato sacerdote e nel 1575 completò i suoi studi di teologia con una tesi su Tommaso d’Aquino. Lasciò Napoli non ancora 30enne e partì per Roma, a causa di accuse varie e del pericolo di essere incriminato per eresia che lo avrebbe perseguitato per tutta la vita. Da lì in poi ebbe inizio il suo peregrinaggio per l’Italia: Genova, Savona, Torino, Venezia, Padova, Brescia, Bergamo, Milano furono solo alcune tappe. Bruno si rendeva conto dell’ignoranza degli inquisitori che gli davano dell’eretico e di quanto questo fosse ingiusto, ma non trovò una strategia migliore che vagare per l’Europa.[6] E’ straordinario quanto avesse viaggiato se consideriamo i mezzi della sua epoca. Intorno al 1578 andò a stabilirsi in Francia, prima a Lione e poi a Tolosa. Quest’ultima città era uno degli epicentri del calvinismo contro il quale Bruno inizialmente non nutriva pregiudizi, tanto che vi aderì. Ma Tolosa aveva già acquisito una certa fama, tanto che già nel Gargantua e Pantagruele Rabelais aveva descritto l’episodio di Pantagruele che, lì recatosi, non vi rimase a lungo poichè “quando vide che [gli studenti] bruciavano vivi, come arringhe, i loro professori”[7] decise di proseguire per non rischiare la stessa sorte.
L’incontro con il fanatismo dei calvinisti fu un tassello importante per la formazione di Bruno. Dopo un’iniziale apertura condannò poi aspramente i seguaci di Calvino per aver messo a ferro e fuoco un po’ tutto quello che capitava loro sotto tiro. Probabilmente avevano interpretato a loro modo il Deuteronomio[8]. La critica dei riformati nello Spaccio de la bestia trionfante è spietata: “[…] mentre dicono che vogliono riformare le difformate leggi e religioni, vengono per certo a guastar tutto quel tanto che ci è di buono.”[9] Bruno si era reso conto prima di altri che la cosiddetta Riforma e le guerre di religione non avrebbero portato nulla di buono se non altro perché alla Riforma sarebbe poi seguita la Controriforma: per lui i riformati erano responsabili di “mettere scisma tra popoli e popoli, gente e gente, compagni e compagni, fratelli e fratelli”[10]. La seguente affermazione sembra quasi attuale, visto che in un contesto del tutto orwelliano la guerra è diventata la nuova pace: “mentre salutano con la pace, portano ovumque entrano il coltello della divisione e il fuoco della dispersione, togliendo il figlio al padre, il prossimo al prossimo, l’inquilino a la patria, e facendo altri divorzii orrendi e contra ogni natura e legge.”[11]
Dal 1581 al 1582 Bruno si trovava a Parigi dove diede alle stampe la divertentissima commedia Il Candelaio in volgare e altre opere in latino. Il Candelaio è forse la sua opera più famosa e viene studiata a scuola insieme alla Mandragola (1512/20) di Machiavelli, mentre le opere filosofiche in volgare e latino hanno avuto una diffusione molto minore. Il “re filosofo” Enrico III fu sorpreso positivamente della capacità nell’ambito della ars memoriae di Bruno e lo ingaggiò come lecteur royaux (lettore reale) nell’allora Collège de France che Francesco I aveva fondato nel 1530 e che ai tempi di Bruno si trovava all’interno del Louvre.
Il Nolano aveva un’opinione molto alta di Enrico III che esprime nello Spaccio: “Ama la pace, conserva quanto si può in tranquillitade e devozione il suo popolo diletto”[12] Nonostante questo, nel 1583 si trasferì a Londra al seguito di Michel de Castelnau, l’ambasciatore francese, e tenne un corso su Copernico all’università di Oxford. Non tutti ne erano entusiasti: Anacleto Verrecchia narra in Nachtfalter des Geistes (1999) che l’allora vescovo di Canterbury George Abbot non solo prese in giro Bruno per la sua statura (“omiciattolo italiano”) ma aggiunse anche che non era la terra che gira, ma la testa del Nolano…
Negli anni tra il 1584 e 1585 Bruno compose i cosiddetti Dialoghi italiani (in lingua volgare) La cena de le Ceneri (1584), De la causa principio et uno (1584), De infinito universo ed mondi (1584), Spaccio de la bestia trionfante (1584) La Cabala del cavallo pegaseo con l’aggiunta dell’Asino cillenico (1585) e De gli eroici furori (1585) che costituiscono l’apice della sua produzione filosofica. Come tutti gli umanisti Bruno scriveva perfettamente in latino, lingua adoperata nella trilogia latina De triplici minimo et mensura, De monade, numero et figura e De immenso et innumerabilibus di qualche anno posteriore. Tutte le sue opere sono scritte in forma di dialogo in quanto seguono ancora i testi classici (Platone) e sono caraterizzati da uno stile difficile e molto allegorico.
Nel 1586 Bruno tornò in Francia, ma visto il clima aspro dei conflitti di religione si spostò presto in Germania. L’anno dopo fu a Wittenberg dove insegnò all’università. Va detto che gli incarichi di Bruno nell’ambiente universitario erano sporadici in tutti i paesi in cui si trattenne e si sarebbe sempre considerato un Achademico di nulla Achademia[13]. Bruno era un filosofo e non un professore di filosofia, una caratteristica che lo tagliava fuori dagli ambienti accademici. Aveva uno spirito libero smisurato e non era disposto a piegarsi alle prescrizioni del mondo accademico, in quel periodo ancora più chiuso di oggi.
Nel 1588 tentò di approdare alla prestigiosa corte di Rodolfo II a Praga, un importante mecenate di arte e scienza che possedeva una delle più importanti Wunderkammern dell’epoca nonché una mole di opere d’arte di valore inestimabile. A Praga il Nolano in ogni caso non ottenne nessun incarico alla corte asburgica e vi fu anche una rivalità con l’astronomo danese Tycho Brahe che lo chiamò “Nullano”. La sua intelligenza gli avrà dato fastidio? In fondo era Bruno che si rese conto che la terra gira intorno al sole, non l’astronomo.
Nel 1589 Bruno si recò di nuovo in Germania, a Helmstedt dove venne in contrasto con le autorità luterane, motivo per cui a quella dei cattolici e dei calvinisti aggiunse anche la scomunica dei luterani. Dopo una tappa intermedia a Zurigo nel 1591 visitò la fiera del libro di Francoforte dove qualcuno gli tese una trappola: il veneziano Giovanni Francesco Mocenigo (1558 – 1607) gli propose di condurlo con sé in Italia con la scusa di assumerlo come maestro di mnemotecnica. Saranno stato l’ingenuità o la voglia di rivedere la patria che lo avrebbero condotto nella fossa dei serpenti? Avrà ritenuto la “liberale” Venezia più sicura del resto dell’Italia? Non lo sapremo mai.
Nel 1592 Mocenigo denunciò Bruno all’inquisizione veneta. Venne arrestato e incarcerato ma la Curia romana fiutò l’occasione e chiese il trasferimento dell’imputato a Roma. Gli fu chiesto di abiurare le sue proposizioni “eretiche”. Quali erano i capi di imputazione? Ovviamente delle assurdità ancora di più se esaminate con gli occhi di oggi: tra le altre cose, Bruno aveva messo in dubbio che la vergine potesse partorire e affermato che la transustanziazione (che il pane diventa corpo di Cristo) fosse una bestemmia. Probabilmente asserire che ci sono infiniti mondi e contestare che la terra sia il centro del mondo costituiva per le alte cariche della Chiesa un’umiliazione ben più grave, come l’avrebbe poi chiamata Sigmund Freud qualche secolo dopo. In fondo era stato un brutto colpo per chi si credeva al centro dell’universo essere relegato ad una posizione marginale.
Il pensiero filosofico di Giordano Bruno
La Cena de le ceneri (1584)
Bruno scrisse il primo dei Dialoghi italiani durante il suo soggiorno in Inghilterra e lo dedicò a Michel de Castelnau. Il titolo si riferisce al primo giorno della quaresima (o quarantana) nel quale ha luogo un simposio. Partendo dalle scoperte dell’astronomo polacco Copernico (“mostrato di quante lodi sia capace il Copernico”[14]) nella Cena Bruno delinea la “nolana filosofia”[15] teorizzando l’infinità dell’universo (“e dechiara essere infinita la mole de l’universo”[16]). Pur sottolineando di vedere con i propri occhi (“Al che rispose il Nolano, che lui non vedea per gli occhi di Copernico, né di Ptolomeo; ma per i proprii quanto al giudizi e la determinazione;”[17]) aveva in comune con l’astronomo “il poco riguardo a la stolta moltitudine”[18] Entrambi pensarono che gli uomini savii sono assai pochi e che spesso vengono disprezzati dalla maggioranza. “[…] in fine è più sicuro cercar il vero e conveniente fuor de la moltitudine: perché questa mai apportò cosa preziosa e degna; e sempre tra pochi si trovorno le cose di perfezzione e preggio;”[19] In tutte le epoche la massa ignorante è stata colpevole di crimini atroci, spesso adducendo la scusa dell’agire secondo gli ordini come scrisse Elias Canetti in Masse und Macht.
Bruno aveva una concezione molto sportiva delle conquiste: non conta arrivare primo, basta aver dato il meglio di sé. Nella Cena introduce questo concetto con la metafora del palio: “Non solo è degno di onore quell’uno ch’ha meritato il palio: ma ancor quello e quell’altro, ch’ha sì ben corso ch’è giudicato anco degno e sufficiente de l’aver meritato, ben che non l’abbia vinto;”[20] Anche nel De monade numero et figura e in De gli eroici furori riprende questo argomento: “Basta che tutti corrano; assai è ch’ognun faccia il suo possibile; perché l’eroico ingegno si contenta più tosto di cascar o mancar degnamente e nell’alte imprese, dove mostre la dignità del suo ingegno, che riuscir a prefezzione in cose men nobili e basse.”[21] Non è un disonore essere vinti, basta aver combattuto. Bruno di formazione era un teologo, anche se si sarebbe sempre considerato un filosofo e si dedicava anche alla scienza con risultati stupefacenti. Il suo segreto: una volontà di ferro e una dedizione assoluta allo studio e al lavoro. Fu il classico uomo universale del Rinascimento e con la sua morte violenta tramontò anche il secolo del pensiero umanistico.
Bruno ebbe modo di incontrare Elisabetta I durante il suo soggiorno in Inghilterra. E’ vero che Elisabetta aveva fatto giustiziare Maria Stuart nel 1587 quando Bruno si trovava ancora in Inghilterra, ma è entrata nella memoria collettiva soprattutto come mecenate delle arti. Nell’era elisabettiana le arti fiorirono, basti pensare a William Shakespeare e al Elizabethan Theatre, a Francis Bacon e a Christopher Marlowe. Nella Cena Bruno lodò Elisabetta I per il suo governo saggio: “Elizabetta dico, che per titolo e dignità regia, non è inferiore a qualsivoglia re, che sii nel mondo. Per il giodicio, saggezza, conseglio e governo, non è seconda a nessun che porti scettro in terra.”[22] Soprattutto apprezza il suo pacifismo: “[…] nel centro de le borasche d’un mare d’adversità ha fatto trionfar la pace e la quiete;”[23] Elisabetta non si schierò apertamente nelle guerre di religione e Bruno in Inghilterra si sentiva anche ben accolto in quanto “forastiero”. Non a caso gli anni londinesi furono i più fecondi per la sua produzione filosofica.
Bruno raccomanda la lettura della Bibbia (e cita sempre i libri più belli e saggi), ma sottolinea che quel libro non tratta di dimostrazioni e speculazioni circa le cose naturali.[24] Di conseguenza è assurdo ed errato che le autorità religiose si oppongano al progresso scientifico. Nella Cena Bruno condanna i gesti dei conquistatori, Colombo in primis: dopo averlo citato paragona le sue azioni a quelle di Tifi, uno degli argonauti nella mitologia greca nonché timoniere: “Gli Tifi han ritrovato il modo di perturbar la pace altrui, violar i patrii genii de le reggioni, di confondere quel che la provida natura distinse […]”[25] Colombo ha scoperto il nuovo mondo, ma con uno spirito di conquista mentre Bruno dilettandosi di astronomia scopre nuovi “mondi” senza imporre a nessuno i propri costumi e la propria religione come fecero i conquistatori.
In Bruno è notevole anche l’apertura nei confronti di altre religioni: Nella Cena cita Al-Ghazālī, uno dei più importanti teologi e filosofi dell’Islam: “[…] per questo disse Alchazele filosofo, sommo pontefice e teologo mahumetano, che il fine delle leggi non è tanto di cercar la verità delle cose e speculazioni, quanto la bontà de costumi, profitto della civiltà, convitto di popoli; e pratica per la commodità della umana conversazione, mantenimento di pace et aumento di republiche.”[26] Le leggi dovrebbero promuovere la civiltà e non opprimere le persone affinché nel mondo regni la pace. Bruno conosceva la filosofia musulmana, aborriva le assurde guerre di religione della sua epoca, criticò la violenza dei conquistatori e nello Spaccio del la bestia trionfante riflette anche sulla pratica della caccia che per lui non aveva nulla di eroico.
Spaccio de la bestia trionfante (1584)
Anche lo Spaccio fu scritto in Inghilterra ed è dedicato a Philip Sidney, un importante cortigiano dell’età elisabettiana. I sei dialoghi in volgare di Bruno vengono o chiamati Dialoghi italiani (per via della lingua volgare) o Dialoghi londinesi (per via del luogo in cui furono composti). In quest’opera di filosofia morale Bruno si schiera apertamente contro le guerre di religione e la Riforma protestante e a suo dire parla senza metafore: “Qua Giordano parla per volgare, nomina liberamente, dona il proprio nome a chi la natura dona il proprio essere; […] chiama il pane, pane; il vino, vino; il capo, capo; il piede, piede […].[27] Avrebbe dovuto sapere che parlare in volgare e dire le cose come stanno era piuttosto pericoloso. Bruno non teneva conto che di norma erano i testi in volgare che davano più fastidio agli inquisitori per il fatto che potevano essere compresi anche dal popolo. Spinoza che conosceva bene le opere di Bruno e lo apprezzava come filosofo fu molto più prudente: scrisse in latino e pubblicò le opere sotto falso nome. A volte mi sfiora il dubbio se Bruno non fosse un po’ ingenuo nelle relazioni sociali, lui che amava gli animali forse non riusciva a concepire quanto potessero essere invece cattive e malvage le persone.
Soffermiamoci un attimo al titolo dell’opera che spiega l’autore stesso. Con dare “spaccio” intende scacciare o espellere: “All’ora si dà spaccio a la bestia trionfante, cioè a gli vizi che predominano, e sogliono conculcar la parte divina”[28] Bruno pensa che a causa dei protestanti che fanno le guerre di religione con la mazza et il fuoco, l’Europa è diventata misera et infelice: qualcuno deve riportare la quiete, “fiaccando gli tanti capi di questo peggio che Lerneo mostro, che con moltiforme eresia sparge il fatal veleno […]”[29] L’idra di Lerna è una figura della mitologia greca e romana e raffigura bene la piaga delle guerre di religione. Bruno critica i protestanti in quanto fanatici che pensano di avere l’unica verità in mano: “[…] dicono che il far bene è bene, il far male è male: ma non per ben che si faccia, o mal che non si faccia, si viene ad essere degno e grato a’ dèi; ma per sperare e credere secondo il catechismo loro.”[30] Non importa quindi fare il bene, basta essere osservanti e credere nell’unica verità, un atteggiamento decisamente totalitario e pericoloso.
Bruno usa quasi sempre il nome Nolano quando si riferisce a sé, ma nello Spaccio impiega il nome Giordano (che non fu quello di battesimo, ma scelto appunto in convento) e fa anche riferimento alla sua città natale Nola, ai piedi del monte di Cicala e all’omonimo castello in un passaggio pieno di umorismo che ricorda il Candelaio. Tra altro anche nel Candelaio stesso e nel De Immenso et Innumerabilibus viene menzionato quel castello della sua infanzia che ora è una rovina. Luigi Pirandello analizzò quel pasaggio dello Spaccio nel suo saggio L’umorismo del 1908.[31] L’umorismo di Bruno trova espressione anche nel motto del Candelaio: In Tristitia hilaris: in hilaritate tristis.
Bruno non solo era un vero pacifista, ma attribuiva intelligenza e sentimenti a tutte le creature. Prima di lui anche l’umanista Pietro Pomponazzi (1462 – 1525) aveva espresso un pensiero analogo sugli animali. Nella Cabala del cavallo Pegaseo con l’aggiunta dell’Asino Cillenico Bruno scrive: “Quella de l’huomo é medesima in essenza specifica et generica con quella de le mosche, ostreche marine, et piante, et di qual siuogla cosa che si troue animata, ó habbia anima […]”[32] Oltre a non considerare gli animali inferiori all’uomo ritiene che quest’ultimo abbia solo la fortuna di avere più mezzi di loro. Se dovessimo camminare a quattro zampe e rinunciare all’uso della mano tutta la nostra superiorità nei confronti degli animali svanirebbe: “Quindi possete capire esser possibile che molti animali possono hauer piu ingegno et molto maggior lume d’intelletto che l’huomo […]ma per penuria d’instrumenti gli viene ad essere inferiore […]”.[33] Alcuni animali potrebbero quindi essere addirittura più intelligenti dell’uomo ma sono penalizzata da una mancanza di mezzi. L’uomo secondo Bruno potrebbe anche avere il doppio dell’intelligenza ma non se ne farebbe nulla senza l’uso delle mani.
“E soggionse che gli dèi aveano donato a l’uomo l’intelletto e le mani, e l’aveano fatto simile a loro donandogli facultà sopra gli altri animali.”[34] Quest’ultima affermazione dello Spaccio implica anche una critica dell’età dell’oro e dell’ozio. Visto che all’uomo sono state concesse le mani e l’intelletto dovrebbe impiegarle con saggezza anziché oziare e poltronare. Oltre ad anticipare le teorie sull’intelligenza degli animali nello Spaccio Bruno si schiera anche contro la caccia, che in quei tempi era considerata un’attività di massimo onore: “[…] e che grande sia onore a uno per essere carnefice, ammazzando, scorticando, squartando e sbudellando una bestia salvaggia.”[35]
De gli eroici furori (1585)
E’ l’ultima opera dei Dialoghi italiani e come già lo Spaccio è dedicata a Philip Sidney. L’eroico furore rappresenta una vita ideale dedicata alla conoscenza della natura e alla ricerca. Nell’opera Bruno attribuisce un ruolo cruciale alla volontà dell’uomo: “Questo “capitano” è la voluntade umana che siede in poppa de l’anima […]”[36] Già Bernardino da Siena aveva riconosciuto il grande ruolo della volontà nelle sue prediche volgari: “La voluntà è reina della mente nostra. Così la buona voluntà è imperadrice di tutto l’universo”.[37]
Nel quarto dialogo Bruno utilizza il mito di Atteone per simboleggiare l’intelligenza e la volontà. Atteone nelle Metamorfosi di Ovidio vide Diana nuda e fu da lei trasformato in cervo. I suoi cani non lo riconobbero (“Sono Atteone! Non mi riconoscete? Sono il vostro padrone!”[38]) e lo sbranarono. I cani stanno simbolicamente per i suoi pensieri, quindi per l’intelletto e la volontà: egli muore nel mondo dell’ignoranza ma rinasce in quello intellettuale. Atteone è “furioso” di sapere nel senso di pazzo, come Orlando Furioso (1516) di Ludovico Ariosto è “furioso” per amore. L’intelligenza precede la volontà, ma dopo aver colto i concetti, dobbiamo porle in atto con l’aiuto della volontà: “Perché l’operazione de l’intelletto precede l’operazion della voluntade; ma questa è più vigorosa et efficace che quella.”[39]
Come Erasmo da Rotteram che fa l’elogio della follia anche Bruno considera le persone matte per certi versi più sagge: “Quindi aviene che nessuno s’appaga del stato suo, eccetto qualch’insensato e stolto […], gode l’esser presente senza temer del futuro; gioisce di quel ch’è […] e non ha rimorso o cura di quel ch’è o può essere […][40] Cita poi di nuovo Salomone del suo amato Qoèlet[41] secondo il quale chi aumenta sapienza, aumenta dolore.[42] Sapere troppe cose può essere anche controproducente e lo stesso Bruno afferma in un passaggio di un’ironia sublime: “la ignoranza è la più bella scienza del mondo, perché s’acquista senza fatica, e non rende l’animo affetto da melancolia.”[43]
Come tutti i saggi Bruno si domanda anche chi determina cosa siano l’insania e la follia: “Anzi insani sono chiamati quelli che non sano secondo l’ordinario, o che tendano più basso per aver meno senso, o che tendano più alto per aver più intelletto.”[44] Quelli più intelligenti della massa vengono considerati pazzi tanto quanto gli stupidi, ma molto spesso i pazzi e gli insani di mente sono soprattutto quelli che non si sottomettono. La massa è come una mandria di pecore che segue sempre gli ordini che qualcuno le impone dall’alto senza mettere in dubbio nulla.
Bruno era una persona modesta alla quale bastava poco per vivere e non si era mai arricchito con la sua filosofia: “[…] non colui che ha poco, ma quello che molto desidera è veramente povero.”[45] Anche secondo Seneca (Lettere a Lucilio) chi si adatta bene alla povertà è ricco. Per Bruno il più povero di tutti è il ricco avaro: “perché l’avarizia non è dove sono ricchezze, se non vi è anco la Povertà;”[46] Su molti concetti c’è affinità con Montaigne, per esempio parlando della paura: “[…] atteso che ad un ch’ha cercato un regno et ora il possiede, conviene il timor di perderlo; ad un ch’ha lavorato per acquistar gli frutti de l’amore, come è la particolar grazia de la cosa amata, conviene il morso della gelosia e suspizione.”[47] Montaigne scrisse: “La paura è la cosa di cui ho più paura”[48] e Bruno: “[…] il timore del male è peggio ch’il male istesso: Peior est morte timor ipse mortis.”[49] Dovremmo tutti cercare di liberarci della paura per vivere la vita più appieno.
Conclusione
Bruno non gettò solo le basi della scienza, ma anche della filosofia moderna. Con la sua affermazione che chi vuole filosofare deve cominciare a dubitare di tutto anticipa Cartesio. Il dubbio e l’incertezza sono anche alla base della scienza moderna perché ci spingono a continuare a indagare senza accettare le “verità” già a disposizione: “Qui philosophari concupiscit, de omnibus principio dubitans, non prius de altera contradictionis parte definiat, quam altercantes audierit, et rationibus bene perspectis atque collatis non ex auditu, fama, multitudine, longaevitate, titulis et ornatu, sed de constantis sibi atque rebus doctrinae vigore, sed de rationis lumine veritate inspicua indicet et definiat.”[50] Da vero democratico Bruno propone che prima di farci un’opinione dobbiamo ascoltare tutte le parti della discussione e i pro e contro, tenendo a mente che la maggioranza o moltitudine come la chiama lui con un briciolo di disprezzo non ha sempre ragione, anzi. Anche Schopenhauer, peraltro considerato pazzo dai suoi concittadini, ribadisce questo concetto “L’intelletto non è una grandezza estensiva bensì intensiva: perciò un solo individuo può tranquillamente opporsi a diecimila, e un’assemblea di mille imbecilli non fa una persona intelligente”.[51] Alla fine è la ragione che dovrebbe trionfare e non l’opinione della massa-moltitudine. Quelli che pensano di possedere l’unica verità non mettono più in dubbio nulla e perciò diventano intolleranti nei confronti delle opinioni altrui, cecando di imporre le loro agli altri con violenza e ostinazione.
Bertold Brecht nel 1939 (peraltro un’altra epoca difficile al pari di quella di Bruno) scrisse la novella Der Mantel des Ketzers (Il mantello dell’eretico), in cui si narra che Giordano Bruno prima di finire in prigione avesse richiesto ad un sarto di Venezia, un certo Sig. Zunto di fargli un nuovo mantello. Una volta arrestato, il sarto chiese i soldi al Mocenigo che ovviamente non lo pagò e alla fine la moglie importunò Giordano in prigione perché si trattava di una somma importante per la famiglia del sarto. Anche nella situazione disperata in cui si trovava, Bruno non perse le staffe e fece in modo che il mantello potesse ritornare ai legittimi proprietari (nel frattempo ovviamente era stato privato di tutti i suoi averi con cui intendeva pagare il mantello). Aveva di certo preoccupazioni più grandi, ma non liquidò quelle della signora impertinente e l’accontentò. Mi piace pensare che Brecht nella novella abbia colto qualcosa della personalità di Giordano Bruno, sensibile e onesto anche nelle avversità.[52]
[1] Bibbia, Qoèlet, 1,9. Citato da lachiesa.it
[2] Giordano Bruno: Spaccio de la bestia trionfante. In: Dialoghi filosofici italiani, Milano: Mondadori, 2008, p. 257. La citazione compare tale quale anche nel Qoèlet (Ecclesiaste) ed è curioso come nelle traduzioni tedesche della Bibbia del Kohelet vanità viene tradotto con Windhauch (soffio) il che dona al testo una poeticità maggiore.
[3] Quello “non-discreto” è uno in cui assomiglia ad un chierichetto che non corrisponde sicuramente alla sua personalità irrequieta.
[4] Cfr. Bibbia, lettera ai Galati, 5,1 („Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù“) Citato da lachiesa.it
[5] Bruno, Spaccio, 302f
[6] Giordano Bruno nel Proemio di De la causa, principio et uno: […] gl‘ ingiusti oltraggi ch’io patisco (doue bisognaua che fusse un‘ animo ueramente heroico per non dismetter le braccia, desperarsi, et darsi uinto à si rapido torrente di criminali imposture […] [[Le opere italiane di Giordano Bruno ristampate da Paolo de Lagarde Volume secondo. Göttingen: Dieterichsche Universitätsbuchhandlung (Lüder Horstmann) 1888, p. 200]
[7] François Rabelais: Gargantua e Pantagruele, Milano: Bompiani: 2012/2013, p. 441.
[8] Bibbia, Deuteronomio, 12, 2 e 3: “Distruggerete completamente tutti i luoghi dove le nazioni che state per scacciare servono i loro dèi: sugli alti monti, sui colli e sotto ogni albero verde. Demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete nel fuoco le statue dei loro dèi e cancellerete il loro nome da quei luoghi.” Citato da lachiesa.it
[9] Bruno, Spaccio della bestia trionfante, 316
[10] Cfr, Ibid, 317
[11] Ibid, 317
[12] Bruno, Spaccio, 439
[13] Giordano Bruno: Candelaio, titolo
[14] Giordano Bruno: La cena delle Ceneri. In: Dialoghi filosofici italiani, Milano: Mondadori, 2008, p. 13
[15] Bruno, Cena, 13
[16] Ibid, 14. Nel De l’infinito universo et mondi nel quale Bruno aveva proseguito le sue dimostrazioni sull’infinità del mondo scrive: „affermo quel che non posso negare: cioè, che nel spacio infinito o potrebono essere infiniti mondi simili a questo, o che questo universo stendesse la sua capacità e comprensione di molti corpi, come son questi, nomati astri;“ Se l’universo è infinito, lo deve essere anche Dio: „Io dico Dio tutto infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente […] (De l’infinito, universo et mondi (1584) in: Le opere italiane di Giordano Bruno ristampate da Paolo de Lagarde Volume primo. Göttingen: Dieterichsche Universitätsbuchhandlung (Lüder Horstmann) 1888, p. 315.
[17] Ibid, 25
[18] Ibid, 27
[19] Ibid, 40
[20] Ibid, 147
[21] Giordano Bruno: De gli eroici furori. In: Dialoghi filosofici italiani, Milano: Mondadori, 2008, p. 629
[22] Bruno, Cena, 53
[23] Ibid, 53
[24] Cfr. Ibid, 93
[25] Ibid, 29
[26] Ibid, 94
[27] Bruno, Spaccio 233
[28] Ibid, 242
[29] Ibid, 289
[30] Ibid
[31] Nel passaggio dello Spaccio vengono ordinati due meloni dal melonaio Franzino perfettamente maturi, insieme ai datteri dell’albero “che sta alle radici del monte di Cicala in casa di Gioan Bruno.” (Ibid, 297)
[32] Giordano Bruno: Cabala del cavallo Pegaseo con l’aggiunta dell’Asino Cillenico Descritta dal Nolano: Parigi, 1585 [Le opere italiane di Giordano Bruno ristampate da Paolo de Lagarde Volume secondo. Göttingen: Dieterichsche Universitätsbuchhandlung (Lüder Horstmann) 1888, p. 585
[33] Bruno, Cabala del cavallo Pegaseo, 586
[34] Bruno, Spaccio, 373
[35] Ibid, 429
[36] Bruno, Eroici furori, 601
[37] Bernardino da Siena: Prediche volgari
[38] Ovidio: Metamorfosi. Torino: Einaudi, 2015, Libro Terzo, p. 103
[39] Bruni, Eroici furori, 633
[40] Ibid, 610
[41] “Infatti: molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere aumenta il dolore” (Bibbia, Qoèlet, 1,18. Citato da lachiesa.it)
[42] Vedi anche Furori: „E per questo può aver detto quel savio Ebreo, che chi aggionge scienza aggionge dolore, perchè dalla maggior apprensione nasce maggior e più alto desio, e da questo séguita maggior dispetto e doglia per la privazione della cosa desiderata.“ (Bruno, Furori, 683)
[43] Bruno, Spaccio, 423
[44] Bruno, Furori, 640
[45] Bruno, Spaccio, 330
[46] Ibid, 332
[47] Bruno, Furori, 693
[48] Michel de Montaigne, Saggi, p. 69 (libro I, cap XVIII)
[49] Bruno, Furori, 722
[50] Iordani Bruni Nolani: De triplici minimo et mensura. Francofurti. Apud Ioannem Wechselum et Petrum Fischerum Consortes., MDLXXXI, p. 137 (Caput I)
[51] Arthur Schopenhauer: L’arte di insultare. Milano: Adelphi, 1999, p. 59
[52] Lo stesso Bruno nella Cena cita un episodio simile della Bibbia (Primo libro di Samuele): Protagonista è il gentile Saul che ci teneva di più alla sorte delle asine che suo padre Kis aveva smarrito che a raccontare che durante la loro ricerca fu designato Re. Allo zio raccontò ciò che segue dell’incontro con Samuele: “Ci ha assicurato che le asine erano state ritrovate». Ma non gli riferì il discorso del regno, […]” come se rispetto al ritrovamento delle asine fosse secondario. (Bibbia, Primo libro di Samuele, 10,16. Citato da lachiesa.it)
2 risposte su “Il pensiero filosofico di Giordano Bruno”
Ausgezeichnete Abhandlung.
Molto interessante, ben fatta di facile comprensione.